IL PAESE REALE CHE NON
C’E’
“Un libro deve frugare
nelle ferite, anzi, deve provocarne di nuove. Un libro deve
essere pericoloso” (Cioran). Questa la frase scelta
da Stampa Alternativa come slogan per il suo Festival di Letteratura
Resistente, quest’anno arrivato alla terza edizione,
svoltosi sempre a Pitigliano dal 9 all’11 Settembre.
Slogan da completare con un’altra frase, stavolta di
Kafka, che recita “Un libro deve essere un’ascia
per il mare ghiacciato che è dentro di noi”.
Varie le presentazioni fatte, e credo farà parlare
di sé un libro-intervista a 5 argentine, dal titolo
“Reaparecide”,salvatesi dall’inferno dei
campi di tortura nell’Argentina dei colonnelli (tanto
per dare dei numeri, che servono sempre, vennero sequestrate
30.000 persone, e se ne salvarono solo 100), ma il meglio,
e il senso del Festival, è stato nella fine. In un
incontro domenicale con Antonello Ricci, Corrado Barontini
e un paio di anziani partecipanti, a vario titolo, a quella
che fu una bella esperienza di una piccola casa editrice grossetana,
“Il paese reale”, poi finita troppo presto, anche
per la scomparsa del suo editore deus ex machina Bonelli.
Un nuovo libretto millelire (anche se ormai siamo a 1 euro
e 03) testimonia quella esperienza, va a cercare quelle voci,
per capire da un lato cosa li aveva spinti, e dall’altro
cosa non è andata. E quelle voci domenica erano a Pitigliano
per ricordarlo anche a tutti noi. Che bisogna provarci, nel
campo editoriale ma anche nella vita, anche se non si hanno
sponsor (palesi o occulti che siano), la “distribuzione”
scappa con i soldi smettendo di distribuire e il Paese ufficiale
si disinteressa di noi. Bella esperienza, di certo, ma non
andò. E sono anche talmente in pochi a ricordarsela,
che Stampa Alternativa ha sentito il bisogno di cercare di
ampliare questa memoria, affidando a Ricci e Barontini il
compito di riprendere la tela, forse anche per il desiderio
di far riemergere una metaforica fiaccola della quale si considera,
a ragione, portatrice sana in quest’Italia del terzo
millennio. Ma non vorrei che Stampa Alternativa, come forse
fece anche a suo tempo il Paese Reale, faccia troppo affidamento
sulla parte che si assume sana della nostra penisola, un “Paese
Reale” che, almeno ai miei occhi, è sempre più
deludente e al quale risulta difficile appoggiarsi per farne
uscire qualcosa di buono. Le 50 persone sedute all’incontro
finale, e che forse saranno state 200 nei tre giorni della
manifestazione, più che un Paese Reale “sommerso”
sembrano quasi dei sopravvissuti al Paese “Ufficiale”,
confluiti qui solo per sentire ancora una parola di speranza
dal guru Marcello Baraghini. Il problema maggiore non è
il Paese Reale che non trova sbocco, ma un Paese Ufficiale
che ha uniformato la coscienza e le menti, finendo per costringere
il resto del mondo all’angolo, con ben poche possibilità
di uscirne fuori (ma, se anche fosse, per andare dove?). E
non solo per scarsi mezzi o mancanza di adeguata pubblicità,
ma proprio per il suo essere sempre più minoranza non
solo nel Paese specifico, ma molto più in generale:
per quanti libri che siano “asce” si possano pubblicare,
con i migliori propositi e professionalità e talento,
diminuisce esponenzialmente la gente che è disposta
a mettere in gioco il mare ghiacciato che è in loro.
Ma non solo e non tanto perché non si legga più,
quanto perché di libri “pericolosi” non
se ne sente il bisogno, meglio affidarsi all’ultimo
best-seller in vendita nei migliori supermercati, fra le albicocche
e gli assorbenti. E questo modo di pensare è solo figlio
di tutto il resto: l’importante è evitare pericoli.
Di qualsiasi genere. In qualunque campo. Hai visto mai…La
chiusura del festival è stata affidata ad Antonello
Ricci, accompagnato da un valente trombettista jazz, che ha
letto con grande bravura stralci di lettere di Luciano Bianciardi,
famoso (ma poi quanto, in rapporto al suo talento?) scrittore
e traduttore grossetano degli anni sessanta, trasferitosi
a Milano. Ebbene, già 40 e passa anni fa dalle lettere
di Bianciardi, usciva fuori un Paese Ufficiale alla deriva,
nel quale durante la Festa di Sant’Ambrogio, in pieno
boom economico, la gente usciva e comprava di tutto, “persino
libri”; un’Italia nella quale tutti avevano una
automobile, qualcuno due, qualche altro perfino anche la barca,
ma nel quale erano tutti orribilmente incazzati, da cui la
paura latente di Bianciardi che il modello del boom venisse
esportato anche al resto dell’Italia. E così
è stato, almeno per gli stati d’animo dell’italiano
medio, che a volte finge solo di lavorare ma si fa addirittura
venire l’esaurimento nervoso (questo il divertente quadretto
di chi lavorava nelle case editrici da lui frequentate), e
le parole di Bianciardi, all’apparenza comiche da un
lato e visionarie dall’altro, possiamo dire che sono
solo “pericolose”, perché vanno a mettere
in dubbio un sistema economico-sociale basato sul nulla, e
che comunque non prevedono alla base l’uomo. “Lo
scopo dell’arte –diceva Tolstoj- non è
quello di risolvere i problemi, ma di costringere la gente
ad amare la vita”. Dispiace essere stati solo in 50
ad ascoltare Antonello Ricci ricordare Bianciardi, e solo
200 a questo Festival di Letteratura Resistente, piccola parte
di un “Paese Reale” tanto celebrato in questi
giorni, che però forse oggi non c’è nemmeno
più o, almeno, non si distanzia tanto da quello Ufficiale.
Qui però si è amata la vita. E non è
cosa da poco. All’anno prossimo.
Alessandro Tozzi
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