Giustizia sommaria per un venditore di vernici

Il signor Vicini aveva spento l'insegna. Il logo delle tre V sovrapposte, che d'acchito si confondeva col simbolo della Volkswagen, seguitava ad emanare un alone azzurrino, e proprio dietro, lontano, lampi altrettanto azzurrini promettevano quella pioggia che fin da agosto si faceva desiderare.
Normalmente le tre V, VICINI VENDE VERNICI rimanevano accese tutta la notte, era quello il loro scopo, ma era meglio spegnere il «richiamo», caso mai si scatenasse il temporale.
Il ragioniere e i tre operai se ne erano già andati e il signor Vicini, come tutte le sere, si intratteneva a sistemare i conti prima di infilarsi nella Renault 4 e via verso casa.
La zona industriale stentava a decollare nonostante le agevolazioni e c'era un capannone qua, uno là.
Novembre era un mese morto per le vendite e il Natale consigliava risparmi, e il tempo, normalmente umido, non era il più adatto a qualsiasi tipo di tinteggiatura.
Il signor Vicini non si lamentava, tutt'altro. S'era fatto, in tanti anni di attività, una solida posizione che, essendo solo, non aveva da spartire con nessuno. Lo chiamavano «lo scapolone d'oro».
Ora, nella terza età, aveva qualche rammarico e le visite in città, un paio di volte al mese per scaricare il surplus ormonale, non lo soddisfacevano appieno, così talvolta sospirava «Ah, una moglie!»
Però era tardi. C'era sempre un però.
Il campanello squilla con energia.
«Il solito ritardatario».
I rapporti con i clienti erano, come dire, molto alla mano, e il Vicini non si scocciava neanche un po' se si presentavano fuori orario o se, addirittura, lo importunavano a casa.
Apre la porta. Un lampo e uno schianto.
Un tuono?
No, una pistolettata.

Al mattino i dipendenti trovano il signor Vicini morto stecchito con un foro in fronte prodotto da una vecchia Mauser del 1943: unica certezza della Scientifica.
Una ad una le certezze divengono supposizioni, sempre con meno supporto. Svaporate congetture sfumano nell'archiviazione del delitto. Scartato il ladro perché non era stato toccato niente, né l'orologio né il portafoglio né altro, furono considerati la vendetta, il ricatto e il «pizzo», e poiché una qualche donna, una di quelle che il Vicini frequentava quindicinalmente, avesse validi motivi per «farlo fuori»... Acqua, acqua su tutti i fronti.
All'albergo: «Oh, sì, era un habitué, ma mai una chiassata, neanche una discussione animata; onesto e preciso, piuttosto pignolo, non lasciava mai una lira di mancia; una persona noiosa, non era un raffinato».
«Che vuol dire?»
«Avete presente chi mangia solo per riempirsi la pancia? Così il Vicini, esaudite le "necessità", arrivederci e grazie».
«Si era invaghito di qualcuna? Ne voleva una in particolare?».
«Prendeva ciò che c'era, senza esigenze».
«Qualche ragazza si era attaccata a lui in modo significativo?».
«No! È nel loro dovere deontologico».
«Aveva una qualche pignoleria...».
«Pagava, e se ne andava».
«Avevate per lui dei riguardi... insomma era un buon cliente».
«Era un cliente affezionato... sì, un buon cliente, però uno di quelli che, siccome pagano, non voleva perdere tempo».

Il Vicini aveva condotto l'azienda senza crediti o debiti di rilievo, se non la normale prassi commerciale; senza relazioni ambigue, senza frequentazioni a rischio, senza sopraffazioni subite né perpetrate; senza amori nati e tramontati; era, il Vicini, più anonimo che chiacchierato.
Solo, beatamente solo, non si era neppure attaccato all'unico fratello col quale si sentiva telefonicamente due volte l'anno, a Pasqua e Natale, per gli auguri. Ma era sempre il fratello milanese che si faceva sentire, il signor Giulio, pensionato delle Ferrovie, tre anni più vecchio, vedovo e con un figlio trentenne affetto da sclerosi multipla.
Il signor Giulio, con un cancro ai polmoni, una larva d'uomo, non si era potuto accollare i cinquecento chilometri di viaggio per partecipare; né poté il figlio Andrea.
Questo è tutto quello che è nelle carte degli inquirenti.
Si nota un puntiglioso premere sull'ipotesi del delitto passionale, ma senza esito. L'alberghetto è quello che è, affitta camere a maggiorenni consenzienti, colpevole, al limite, di sfruttamento della prostituzione, ma da qui al delitto...

Bafante e il brigadiere rigirano la «storia da tutti i versi, ma corridoi da imboccare non ne vedono.
«Se il delitto avesse motivi... origini lontane?».
«Perché questa congettura?».
«Perché... perché la vecchia Mauser era in dotazione all'esercito tedesco nella seconda guerra mondiale».
«Ma il Vicini era un bambino a quei tempi».
«Comunque può aver assistito a qualcosa di grave».
«Alla guerra Bafante, alla guerra! Però, ammesso che sia come dici tu, gli tappano la bocca dopo tutti questi anni».
«È vero, è una forzatura. Cazzo, non c'è un appiglio... In nottata era pure piovuto, così non c'era, una traccia... l'orma, di un pneumatico, di una scarpa... Cazzo, quando si accantonano delitti così mi viene una rabbia... mi sembra di vederlo , l'assassino, che se la ride, che ci prende per il culo».
«Magari è qui al bar con noi».
«Smettiamo di congetturare e torniamo alle "elementari" come dice lei».
«Che dico?».
«Che si ammazza per soldi o per amore».
«Riconfermo».
«Dunque, amori niente, né torbidi né platonici, solo un po' di "ginnastica", quasi un'abitudine come l'aperitivo».
«Quanto ai soldi il Vicini non faceva traffici loschi e il contante lo teneva in banca... ed è ancora là, che io sappia».
«Però il beneficiario è il fratello...».
«Però il fratello è matematicamente certo che non si è mosso da Milano e che non può muoversi se non con l'ambulanza. Così anche il figlio, che due volte al giorno ha bisogno di fisioterapia».
«Potrebbero aver ingaggiato un killer».
«Con quali soldi, se vivono con la misericordia di un prete?».
«Con l'eredità».
«Un capannone, una casa e una manciata di milioni?».
«Beh, si uccide per molto meno».
«Non è roba da killer, non quadra. È un'operazione che richiede contanti, non promesse, e molti».
«Brigadiere, io vorrei parlare con quei due».
«Ma sono a Milano... Anzi, in un paesetto inglobato dalla periferia di Milano... Poi sono state vagliate tutte le ipotesi riguardo a ciò, potrebbe essere un viaggio a vuoto».
«Potrebbe, non è certo».
«Se il maresciallo mi fa il biglietto per ragioni di servizio...».
«Se il capo mi anticipa soldi e ferie...».

Partono sotto il diluvio.
Succede così, non piove tutta l'estate poi acqua tutta insieme a completare i disastri della siccità. Buono per farsi una bella dormita mentre il rapido sfreccia verso nord.
A Milano li aspetta l'auto di «servizio». Il maresciallo è un drago.
Le case si fanno sempre più rade e sempre più brutte. La brina rimpicciolisce i campi e i casolari. Il cielo e la terra si scambiano i colori sfumando i confini. Una distesa di cardi protetti da un abbraccio di paglia lottano per arrivare a primavera e sono l'ouverture di un grumo di case, con un campanile senza grazia.
Una donna zappetta i cardi vicino al ciglio della strada. La strada è bianca.
«Buongiorno signora, cerchiamo il signor Vicini, può indicarci dove abita? Grazie».
«Siete arrivati tardi, ha già venduto la casa».
«Non siamo qui per la casa..., dove abita ora?».
«Dove sempre, in chiesa».
«Mangia e dorme in chiesa?».
«No, da don Angelo. È proprio un angelo il parroco».
«Buon per voi!».
«Davvero. Ha fermato la speculazione e siamo rimasti un'oasi, senza ruspe, senza capannoni, senza treni, senza semafori, senza rumori, senza smog, senza tutte quelle schifezze che ci volevano appioppare».
«Più che un angelo, un padreterno!».
«Potete dirlo forte. Vedete quella dritta che s'incrocia con la statale? Ecco, era impraticabile, sia di giorno che di notte...».
«Sconnessa?».
«Occupata».
«Come occupata?».
«Dalle "madonnine"... Noi chiamiamo così quelle donne; sapete, tra le madonnine, i loro clienti, i guardoni, i magnaccia... insomma era impossibile uscire di casa, sia per la decenza che per i pericoli... Non è un bello spettacolo, non era, per i nostri ragazzi, per il decoro e il buon nome del paese. Ci teniamo a certe cose e don Angelo ci ha messo mano e quelle si son trovate un altro posto dove fare le loro porcate».
«Non vediamo l'ora di conoscere questo benefattore. Per la chiesa di là? Anche il signor Vicinilo troviamo in chiesa?».
«E dove sennò, così sta vicino a Dio, tanto tra poco lo va a trovare lassù».
«È messo così male?».
«Ci avrà, che dico, un altro paio di mesi».
«Grazie, ci è stata utile».
«Il portone della chiesa è chiuso, passate da dietro dove c'è la segheria. Don Angelo è sicuramente al lavoro».
«Arrivederci e grazie ancora».
«Arrivederci».

Ancora cento metri e la chiesa si ingrandsce un po'. La sega a nastro diffonde un caloroso ronzio.
«Buongiorno reverendo».
«Buongiorno. Sbirri?».
Il brigadiere si guarda i vestiti, casomai con la forza dell'abitudine avesse indossato la divisa; ma no.
«Ha un buon naso lei».
«Siete voi tipici. In che posso esservi utile?».
«Cerchiamo il signor Giulio Vicini. Ci hanno detto di rivolgerci a lei».
«Che volete?».
Il tono non piace per niente al brigadiere, ma si trattiene dal classico «le domande le faccio io».
Bafante, cordialmente:
«Sa, per la faccenda dell'eredità...».
«Cazzate. Appena la banca avrà sbrigato le formalità verserà i soldi alla nostra banca».
«Avete una banca in paese?».
«No, intendevo dove siamo correntisti io ed il Vicini, naturalmente, ognuno co0l suo conto corrente. Ora, fuori il rospo che ho da fre».
Il prete è proprio un bell'omaccione che se non lo avesse tradito il collare lo si sarebbe scambiato per un buttero. Tiene in bocca un mezzo toscano, in testa un borsalino; ha calzoni alla cavallerizza e stivali di cuoio.
«E sia. Siamo qui perché l'omicidio Vicini si è arenato, siamo in veste privata e ci farebbe piacere parlare col signor Giulio nella speranza che possa aiutarci... forse con qualche notizia sfuggita agli interrogatori precedenti...».
«Chissà, le vie del Signore sono infinite».
«E col di "Là" ci potrebbe mettere una buona parola lei che deve avere qualche aggancio, visto che ha risolto un bel problema al paese».
«Vi riferite alle donnine allegre? È bastato un po' di immaginazione e un goccio di astuzia».
«Come ha fatto? È un segreto?».
Il brigadiere vuol dar corda al prete.
«Niente affatto, mi sono procurato un cartello di divieto di transito e uno di divieto di sosta, ho amici al "capannone" del Comune. Li ho ricollocati all'imbocco del vialone e di sera, vestito da vigile urbano (detto tra noi ho avuto l'uniforme dai soliti amici), ho spaventato i "signori" clienti dicendo che la prossima volta sarebbe scattata una multa salata, poi una denuncia per atti osceni e una significativa pubblicità. Non si è più visto un cane».
«Però, una volta tolti i cartelli...».
«Chi li toglie? Ho sopperito ad una mancanza degli amministratori. Poi, in paese giurerebbero tutti che non sono stato io. Mai hanno goduto d'una quiete così».
«Si fida di tutti?».
«Ciecamente».
«Anche di noi si fida, altrimenti non ci avrebbe raccontato questa storia».
«Certo, ho soppesato subito che un giovanotto e un pensionato non si sarebbero certo messi nei casini per una vicenda simile. E poi, due contro cento, suvvia, perché mai?».
«Per la verità».
«Quando si dice la forza delle convenzioni! La verità, la verità è come la libertà, come la democrazia, roba per idealisti o interessati. Quante verità, verità assolute hanno fatto più danni che la menzogna!».
«In bocca a un prete suona un tantino insolito!».
«Avete fatto cinquecento chilometri per parlare di etica? Andiamo in canonica a sciacquarci la bocca con un gotto di grappa».
«Questa sì che è una proposta che non si può rifiutare».

Il Vicini milanese è una pena. È scarnito e ha lo strazio negli occhi. Aspira a lunghi intervalli, per un attimo ha un'espressione interrogativa, poi ritorna allo stato di sofferenza.
Fa stringere il cuore.
«Ciao Giulio, questi amici sono entrati a bere un goccio... Andrea è a letto?».
Il signor Giulio risponde di no con un dito.
«Andreaaa!».
Al richiamo di don Angelo, il ragazzo appena. Ha lo stesso viso smunto, la stessa tristezza del padre. Andrea armeggia con la levetta della sedia a rotelle e con un lieve fruscio, evitando con maestria sedie e tavolo, si dispone accanto al babbo.
«Questi signori conoscevano tuo zio e mi hanno assicurato che snelliranno la pratica dell'eredità».
Andrea fa sì con la testa.
Bafante e il brigadiere si versano una porzione abbondante, hanno da scacciare qualcosa di più pungente del freddo. Con delicatezza, quasi con dolcezza toccano il signor Giulio e il ragazzo, poi escono a respirare.
Il prete si toglie il borsalino, si passa la mano sulla fronte ad asciugarsi qualcosa che non c'è e guarda i due con freddezza. È alto, robusto, con la testa forte, con i calli sulle mani, con i capelli bianchi senza verso. Sputa il mezzo toscano, lo pesticcia. La bocca ha un ghigno di sfida.
«Quando quei due poveri cristi saranno sottoterra, per Giulio è questione di giorni, tornate con le manette».
Così dicendo indica loro una stiva di sassi dove sedere e prosegue:
«Quella è mia, la carrozzeria è mangiata dalla ruggine, ma il motore è un treno».
Un'Alfa Sud somigliante a un rottame si ripara tra due cataste di tronchi.
«L'Alfa è Alfa!», sentenzia Bafante.
«Conoscevo il vostro Vicini, l'avevo incontrato cinque anni fa. Lo giudicai un verso e ora sta bene dove sta».
Bafante e il brigadiere, due statue.
Don Angelo prosegue.
«Per quello che capivo dalle telefonate, giudicavo fosse fiato sprecato è ma la speranza è l'ultima a morire. Così, sopravvalutando le mie capacità di convinzione, prendo il treno e vengo giù da voi. Un buco nell'acqua. Il bellimbusto fu sordo da tutte e due le orecchie. Non lo smossi di un pelo, né si scompose, quando seppe che il fratello aveva un cancro ai polmoni, che per portare Andrea in Francia e in Svezia s'era fottuto la casa e la pensione, che se non ci fosse stata la compassione del paese sarebbero morti non di malattia ma di fame. Gli dissi, insomma, come parente prossimo e in condizioni, di farsi carico di questa situazione pietosa. Come ho già detto, fiato sprecato e ci mancò poco che mi scacciasse a calci in culo. Si vantò, tra l'altro, della propria cronica avarizia. Lo odiai e l'ho odiato. Questi due mi morivano un poco tutti i giorni e Giulio piangeva di disperazione al pensiero che il figlio finisse in qualche istituto, dimenticato da tutti. L'assillo di Giulio era anche il mio, anch'io sono in là con l'età e parrocchiani bisognosi ce ne sono tanti. Non potevo prendermi cura di Andrea a tempo pieno, inoltre le medicine e le cure di cui ha bisogno costano un occhio. Per quasi tre anni ho bestemmiato coi pensieri, poi presi la decisione più giusta: chiedere aiuto alla vecchia Mauser. Sta ancora lucida dentro alla carta oliata e ben funzionante. Faccio il pieno all'Alfa Sud, controllo acqua, olio e gomme sempre più determinato a fare un bel regalo ai miei due carissimi amici. Che macchina, un gioiello, mille chilometri in una botta, si può dire senza sosta. Non ho in mente particolari precauzioni e, se il verniciaio non fosse stato al capannone, sarei andato a casa sua. Arrivo nel silenzio, accendo il toscano, scendo e per un attimo mi godo il consenso del cielo che si illumina per me. La Mauser è fredda e mi dice scaldami».
Di scatto il prete li lascia lì, si avvia alla segheria, attacca l'interruttore della sega a nastro e il ronzio copre tutto.
Bafante e il brigadiere raggiungono l'auto di servizio e si avviano alla stazione.
«Che storia strana, come fai ad incasinarti in una storia così con un paese intero a giurare che quel giorno il loro parroco non s'è mosso d'un passo?».

Daniele Boccardi