Manuela Ardingo
Nel suo passato il più
classico dei licei classici e la più digitale delle
ingegnerie, trentacinque poesie, trentuno racconti e un libro:
tutto comodamente barattabile. Nel suo presente la gestione
quotidiana di un blog - http://mardin.blogs.com
- e la prima stesura di un secondo libro. Cura rubriche e
approfondimenti su diverse testate giornalistiche, cartacee
e non. Collabora con Exibart e con BazarWeb. Ha vinto un concorso
alla Scuola Holden di Torino per la scrittura di un monologo
teatrale e partecipato a Pordenonelegge per teorizzare in
sette giorni i confini della scrittura in rete, ma va fiera
soprattutto delle sue recensioni cinematografiche che settimanalmente
pubblica su CineWema. Attualmente, insieme ad Alessandro Tozzi,
è finalista al Premio Teramo.
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Un libro da manuale, di Manuela
Ardingo e Alessandro Tozzi
Nella primavera del 1993
César Buendìa Lopez rientra a casa, ad Aguas
Calientes.
E' uno scrittore: famoso, conosciuto, stimato. Forse non da
tutti, soprattutto da chi è al potere.
Non sa cosa il destino abbia in serbo per lui quel giorno:
entra in casa e bacia la figlia Luz, adolescente. Poi saluta
la moglie che sta leggendo un libro in veranda.
Dopo qualche minuto sentono bussare alla porta. La moglie
va ad aprire e si trova davanti 4 poliziotti in divisa: le
chiedono di entrare per un controllo. Li fa passare.
César, preoccupato, va incontro a quegli uomini: gli
sorridono.
Capita che a volte anche la Morte lo faccia.
Uno dei quattro gli dice che deve seguirli perché un
suo amico è stato arrestato e ha chiesto di vederlo.
César chiede di chi si tratti: lui non ha amici che
possano essere arrestati, dice. Ma col pensiero va almeno
a dieci e forse più cari amici che conosce.
Il poliziotto dice che il nome per ora è segreto ma
che il suo amico ha chiesto di lui, che è una cosa
importante: ne va della vita di quell'uomo e di altre persone.
César si rimette il soprabito e li segue. Saluta la
moglie, tranquillizzandola, e bacia la figlia.
Non poteva sapere che non le avrebbe riviste mai più.
La polizia, senza un interrogatorio, lo mette in galera insieme
ad altri rivoltosi. Dice che è stato fatto il suo nome
per un attentato che si stava preparando nella capitale. Ma
César non sapeva nulla di tutto questo. Aveva dato
sì dei soldi a degli uomini che conosceva per sostenere
il partito popolare, ma di attentati non ne sapeva nulla.
Lui è uno scrittore, fa quello di mestiere. Non butta
le bombe in piazza, semmai nei libri, con i pensieri: è
per questo che molti credono sia uno pericoloso.
Per tre mesi lo tengono lì, senza farlo uscire, sperando
che confessi. Hanno bisogno che un nome importante sia coinvolto,
per far vedere che il Governo del nuovo dittatore non ha riguardi
nei confronti di nessuno. Ma César è forte,
non crolla. Così lo mettono sotto processo.
Il processo dura tre anni, a porte chiuse, senza avvocati
difensori. Viene condannato a venti anni di galera. Senza
prove. Senza niente.
Grazie all'aiuto di alcuni amici riesce ad ottenere dal dittatore,
che in pubblico dice di essere un suo grande estimatore, la
possibilità di scontare la pena in un'isola dove la
prigione è un po' meno dura. Lo mandano sull'isola
di Roca Alijos, senza contatti con nessuno.
Forse peggio della prigione stessa.
Nel frattempo la moglie muore, lasciando da sola la figlia.
Un giorno di molti anni dopo, quasi per caso, gli capita fra
le mani un libro scritto dalla figlia.
E' bellissimo. Ricomincia a scrivere anche lui.
Un giorno il dittatore, andato a trovarlo, lo scopre. Legge
il primo capitolo del libro e lo trova meraviglioso. Come
premio gli concede la possibilità di scambiare lettere
con sua figlia.
Queste.
Roca Alijos, 24 Agosto
2002
Mia Adorata Luz, ho difficoltà a trovare le parole.
E per uno che nella vita ha fatto lo scrittore, si tratta
di una cosa abbastanza strana.
Ho sempre sognato di rivederti, abbracciarti, e invece dopo
tanto tempo devo accontentarmi di una semplice lettera…
Quanti anni sono che non ci vediamo? Potrei bluffare e dire
una decina, ma so benissimo che sono nove anni, quattro mesi
e undici giorni.
Almeno così li ho contati, giorno dopo giorno, nella
mia cella.
Anche quando quella che vivevo sembrava tutto fuorché
una vita, non ho mai smesso di pensare a voi. Siete voi che
mi avete dato la forza e la speranza per cercare di uscire
da tutto questo. Siete voi che ho invocato ogni sera, sperando
che Dio mi desse la possibilità di ritrovarvi come
vi avevo lasciate.
Purtroppo mamma non ce l'ha fatta, l'ho saputo solo qualche
tempo fa. In quel momento, per la prima volta, ho pensato
di farla finita. In fondo è quello che tutti quanti
vorrebbero e se fossi io a farlo per loro sarebbe molto più
facile.
Poi ho pensato a te.
Alla mia piccola Luz, rimasta da sola a combattere contro
tutto il mondo, ed ho creduto che non fosse giusto. Per te
e per mamma. Di certo non l'avrebbe voluto.
Era una gran donna tua madre. Mi ricordo quando l'ho conosciuta
venticinque anni fa, mi chiese se io scrivessi. Ho pubblicato
due romanzi, le risposi.
Sì, ma non li ha scritti per me, mi disse sorridendo.
Da quell'istante la amai follemente. Da quell'istante la amo
follemente.
Perché io non voglio pensare che lei sia morta, come
lei non l'avrebbe pensato se a morire fossi stato io: semplicemente
ci siamo divisi per un periodo, ma presto torneremo insieme.
Lo so. Che la Morte la puoi imbrogliare solo così:
morendo o facendo finta che non esista.
Io non ho mai visto tua madre morire, quindi lei per me non
è morta.
So che il mio discorso ti sembrerà folle ma, credimi,
quando uno ha vissuto per dieci anni quello che ho vissuto
io, diventa folle e comincia ad avere il bisogno di sperare,
di credere in qualcosa. Quel qualcosa eravate voi due.
Ti sto di certo annoiando, scusami. Questo dovrebbe essere
per noi un giorno di gioia, quasi come quello in cui sei venuta
al mondo.
Lo sai che l'hai raccontato molto bene nel tuo libro?
Ho pianto per giorni leggendo quel brano e ogni volta maledicevo
questa prigione e quello che mi separa da te. E' bellissimo
il tuo libro, davvero, riesci a parlare di tutto senza che
si possano muovere critiche a quello che hai scritto. Ed è
anche per questo che è piaciuto a tutti, almeno così
ho saputo: hai dato una speranza a quelli che sono, come me,
dall'altra parte. E sono tanti, siamo in tanti, in questo
difficile momento.
La speranza che ci sia una voce libera e fuori dal coro.
Ora ho ricominciato a scrivere anch'io, grazie al tuo esempio,
fino a ieri avevo perso la voglia di farlo. Voglio essere
anch'io una voce fuori dal coro, anche se nessuno la potrà
mai ascoltare. Per ora mi basta sentirla anche da solo, qui,
su quest'isola, nelle mie due ore di libertà, quando
cammino su e giù per la spiaggia. Mi capita di guardare
lontano, quando il cielo è sereno: a volte mi sembra
di rivedere casa, e quasi vorrei tuffarmi in mare e nuotare
fino a quel miraggio...
Il mio carceriere bussa alla cella, ha detto che la lettera
deve essere pronta.
Mi sembra già una fortuna che il dittatore ci abbia
concesso di scriverci, quando è venuto a farmi visita
ed ha letto il primo capitolo del mio libro. Ne è rimasto
talmente folgorato, ha detto, che pur di convincermi a continuarlo
ha acconsentito che io e te ci scambiassimo una lettera al
mese.
Ti lascio con un bacio ed una preghiera: di mettere un mio
romanzo sulla tomba di mamma. Uno qualunque. Dopo i primi
due gli altri li ho scritti tutti per lei, lei lo sapeva.
Ben ritrovata.
Tuo padre
Aguas Calientes, 13 settembre
2002
Come una nuvola bella le tue parole arrivano nel riquadro
della mia finestra.Una di quelle nuvole bianche che ti fanno
capire che il cielo è profondo e alto e blu.Ché
senza riferimenti non ti accorgi di niente.
Così io: dalla morte di mamma vago.
Alla ricerca di una finestra da attraversare. Alla ricerca
di uno specchio in cui riconoscermi.Alla ricerca di qualcuno
cui accostarmi per capire di che colore sono.
Io, Luz Buendìa Lopez: di madre in paradiso e padre
all’inferno.
Ho passato anni di buia insicurezza. Poi ho trovato una pallida
luce nella scrittura.
Mi sono ricordata di quanto ti piaceva scrivere. E così
ho iniziato anch’io. Per ritrovarti tra le righe.
Scrivendo cerco di illuminare gli altri e questo fa bene anche
a me. D'altronde mi chiamo Luz.
E poi la tua lettera. Ho pianto, tremato e pianto con quei
fogli tra le mani.
Ho voluto bene persino a lui, l’uomo che ti tiene lontano
da me, perché mi ha dato una gioia infinita.
Non avrei mai sperato che il mio libro arrivasse a te, ma
la scrittura è magia.
Ora sto meglio.I l mittente sulla tua busta mi da’ sicurezza.
L’ho incorniciato e messo sulla scrivania.
Si tratta di un riferimento fisico. Non so se puoi capire
cosa provo.
Voglio dire: tu hai sempre saputo dove ero. Io mai.
Poter essere ovunque e in nessun posto è come essere
morti per chi aspetta. Ci hai mai pensato?
Mi rivolgevo a te come a mamma.U n lungo dolorosissimo monologo
finalmente interrotto.
Non sarò libera finché non lascerai quel carcere,
ma oggi mi sento un po’ più viva. Finalmente
un po’ più viva, dopo nove anni cinque mesi e
un giorno. Credo che andrò a comperarmi un gelato.
Uno di quelli grandi pistacchio e amarena che mangiavamo al
parco la domenica. Per festeggiare. E porterò un tuo
libro sulla tomba di mamma.
Spero che non ti dispiaccia: c’è già anche
il mio.
Luz
Roca Alijos, 20 Ottobre 2002
Due giorni fa è arrivata la tua lettera. E sono stati
due giorni tremendi per me.
Perché per la prima volta in tanti anni ho pensato
a quello che è stata per me questa vicenda, come se
una campana avesse suonato nella cella e il suo eco continuasse
a rimbombare qui dentro, a ricordarmi quello che ho perduto
e che sto perdendo.
Lo sai, volevano da me dei nomi, che tradissi la mia gente.
E io non l'ho fatto, non lo avrei mai potuto fare. Ma col
mio comportamento, solo ora me ne rendo conto, è come
se gli avessi fatto i nomi di te e di tua madre. Facendo così
ho perso voi.
Io fino ad oggi non mi ero mai posto questo dubbio, mi sembrava
l'unica cosa possibile da fare. Ieri, dopo aver letto la tua
lettera, ho pensato per un istante di dire tutto quanto quel
poco che so, magari avrei avuto salva la vita, avrei potuto
uscire da qui e rivederti.
Stavo per bussare alla porta e chiamare il mio carceriere
quando ho pensato a come avrei potuto sopportare quegli sguardi
al mio ritorno, quegli occhi che mi avrebbero detto ad ogni
istante che sono colpevole.
Posso anche riuscire, forse, a sopportare che tu non sia con
me, ma l'idea che tutti mi vedano come un traditore nella
mia patria tanto amata… no, preferisco la morte.
Scrivi che paradiso e inferno sono per te luoghi tanto ignoti.
Lo erano anche per me, almeno fino a che non ho cominciato
a scriverti: questa tua lettera è il mio paradiso e
il mio inferno personale.
La scorsa settimana il dittatore ha voluto leggere il secondo
capitolo del mio libro.
L'ho intitolato "L'isola della libertà",
parla di una terra dove gli uomini nascono tutti uguali e
dove non ci sono differenze e barriere. Dove si possa ancora
coltivare la parola speranza.
Il dittatore mi ha elogiato e detto che debbo continuare,
non so cosa abbia in mente.
E' un uomo strano, non so se lo hai mai visto in una delle
sue parate militari.
Avrà una sessantina d'anni, tarchiato, occhiali da
sole perennemente sul viso a coprire due occhi cattivi nei
quali vedi uno per uno tutti i peccati del mondo.
Non posso dire che lo odio, ma credo sia la persona che vorrei
veder sparire da questo mondo al più presto; di certo
odio il mondo di cartapesta che lui ed una sparuta minoranza
portano avanti, mentre il popolo è costretto alla miseria
e all'ignoranza.
Pure l'uomo ha un certo fascino, ma quando sorride ho paura.
"Non fidarti mai dei potenti quando sorridono",
è una frase che ho trovato nel tuo libro: mi ha fatto
pensare che i potenti sorridono quasi sempre.
Quando ho letto che ne hai messa una copia sulla tomba di
mamma, avrei dato non sai quanto per essere lì con
te. Con voi.
Ero sulla spiaggia, ho preso un sasso di quelli piatti, e
l'ho tirato in mare cercando di farlo arrivare il più
lontano possibile. E’ un gioco che facevamo sempre quando
eri piccola, non riuscivi mai a lanciarlo lontano, il sasso
affondava subito nell'acqua.
Allora piangendo mi chiedevi di aiutarti a lanciarlo. E insieme
arrivavamo lontano, tu mi guardavi e sorridevi. Sembrava solo
un gioco.
Oggi, ti dicevo, ho lanciato quel sasso pensando a te, e il
sasso è arrivato lontanissimo, mi è sembrato
volasse sull'acqua, credevo non si fermasse mai e che ad un
certo punto mettesse le ali e volasse via: io sono sicuro
che mi hai aiutato tu a lanciarlo, in quest'isola dove sta
rinascendo la speranza. Debbo a te la mia forza di oggi.
Stammi vicina, ti prego. Insieme possiamo ancora volare.
Un bacio
Tuo padre
Aguas Calientes, 6 novembre
2002
Vero quello che dici sul mio nome e quello di mamma,sono nomi
che hai fatto al posto di quelli dei tuoi amici. Verissimo.
La nostra famiglia è stata segnata dal tuo silenzio.Io
e mamma eravamo quelle da consolare. Quelle che una forza
feroce e indomabile rendeva diverse. Dicevano che eri un eroe,
che dovevo essere orgogliosa di avere un padre come te e che
il mondo aveva bisogno di esempi simili.
La verità era che io non avevo più un padre.
Mamma era sicura che non ti avremmo più rivisto. Come
del suo amore per te.
Diceva di amarti proprio per la tua infinita coerenza. Diceva
che quanto più non ti piegavi tanto più ti amava.
Io no. Io non capivo. Io ero piccola.
Vedevo mia madre andare fiera di quello che ci accadeva.Vedevo
uomini tornare dopo aver parlato e pensavo che non era poi
così male. Ché chi è innocente è
giusto che viva con la figlia. Ché la gente dimentica
in fretta e quello che conta è la vita. Alcuni tornavano
e continuavano a dire bene di te mentre mi abbracciavano.
Il tuo povero padre, fossero tutti così! Io, per esempio,
non ho resistito. Dicevano.
In quegli anni ho conosciuto l’odio.
Odiavo quella untuosa civetteria, quel modo di incensare per
difendersi. Odiavo il nostro essere diversi, il nostro essere
sempre speciali. Mi chiedevo perché tu non potessi
fare come tutti e tornare da noi.
Perché tuo padre non è come tutti, tuo padre
è speciale. Così rispondeva mamma.
Lei era con te sempre. Vederla così convinta e pura
mi demoralizzava ancora di più.
Mi sentivo in colpa quando pensavo che la tua era un’ingiustizia
verso di noi.
Quando pensavo di essere l’unica persona ordinaria della
famiglia.
L’unica che pensasse che un tuo abbraccio potesse valere
più di mille ideali.
Non parlavi per non perdere i tuoi amici e perdevi me.
E poi: non riuscivo a dimenticare quel giorno, non riuscivo
a dire domani, non riuscivo ad avere fiducia.
Non capivo: un giorno mi avevi detto che avresti dato la vita
per me e, invece, non riuscivi a dare neanche un nome a quegli
uomini...
Mi sentivo tradita.Ora ti capisco ma solo con la mente.
Il mio cuore ti accoglierebbe comunque: impacciato e leggero
come al solito.
Ché la gente dimentica in fretta e quello che conta
è la vita.
Luz
Roca Alijos, 9 Dicembre
2003
Oggi sono passati 30 anni dalla pubblicazione del mio primo
libro.
Mi ricordo che quando ebbi in mano la prima copia stampata
mi aggiravo per la città quasi volando. Cercai subito
mio padre perché lui lo vedesse e fosse orgoglioso
di me.
Lui mi guardò, sfogliando appena il libro, dicendomi:
"Non importa che tu abbia pubblicato un libro, ne sono
capaci tutti. Importa quello che hai scritto dentro al libro."
Due giorni dopo, al mio risveglio, trovai un biglietto sul
comodino.
Diceva solo: "Ho letto. Ora per me sei uno scrittore".
Quello che ti voglio dire è che a me non interessa
vivere se quello che porto dentro al cuore non è fino
in fondo ciò che sento, non potrei farcela a tirare
avanti.
E dico questo con la morte nel cuore, ora che ti ho ritrovata,
ora che ti sento vicina, ora che sei la mia isola della libertà.
La scorsa settimana il dittatore si è di nuovo informato
sul libro, voleva sapere a che punto fosse. Gli manca solo
un capitolo, e poi è pronto, credo.
Non mi è piaciuta la faccia che ha fatto, temo ci sia
sotto qualcosa di strano.
Ho paura. Anche per te. Scappa finché sei in tempo
da questo paese, salva almeno la tua vita. Potremmo continuare
a scriverci, se vuoi, ormai conosco il carceriere, è
una brava persona, forse ci permetterebbe di comunicare ancora.
Mi piacerebbe se, come ultima lettera dalla nostra patria,
tu mi mandassi una poesia.
Ho visto che sei bravissima, eri già un talento sin
da piccola.
E mi piacerebbe poi finirla con parole mie, in modo che rimanga
per gli anni che verranno, a illuminare il nostro cammino,
dovunque li passeremo, io e te.
So che sono pazzo: sono qui in prigione e dico di voler scrivere
una poesia insieme a te, invece di tornare lì in tua
compagnia.
Forse è vero, sono pazzo, ma i pazzi aprono la strada
ai saggi che le percorreranno, disse un giorno qualcuno.
Vorrei un po' della tua saggezza, figlia mia. In cambio posso
darti solo un po' di pazzia…
Un bacio Tuo padre
Aguas Calientes, 17 Gennaio
2003
Ti ho scritto la poesia che volevi: inevitabilmente triste.
Eccola, è senza titolo.
Come se decidere di morire
fosse pazzia-Come se pensare di non vivere fosse solo folle
ironia-I fogli s’inzuppano cerebrali-Le parole si gonfiano
maniacali-Vano il nostro tergiversare-Inutile lavorio di menti
inquiete-Io bagno e tu asciughi-Io asciugo e tu bagni-Tergiversiamo-Cerchi
di confondermi mentre ti allontani-Solo questo-Come se fuggire
dalla vita non fosse tradire-Come se abbandonarsi alla morte
non fosse-in qualche modo-arrendersi.
Buon Natale, papà.
E Buon anno
Tua Luz
Roca Alijos, 9 Febbraio
2003
Come se decidere di morire fosse pazzia-Come se pensare di
non vivere fosse solo folle ironia-Perché vivere è
pazzia-Se non lo fai seguendo il tuo istinto-I fogli s’inzuppano
cerebrali-Le parole si gonfiano maniacali-Quante volte ho
strappato quei fogli-Quante pianto su quelle parole-Vano il
nostro tergiversare-Inutile lavorio di menti inquiete
Come se due menti inquiete-Non fossero capaci di volersi bene-Io
bagno e tu asciughi
Io asciugo e tu bagni-Tergiversiamo-Io chiamo e tu rispondi-Tu
rispondi e io chiamo
Tergiversiamo-Cerchi di confondermi-Mentre ti allontani-Solo
questo-Eppure la mia distanza da te-E' sempre la stessa-Da
sempre-Come se fuggire dalla vita non fosse tradire
Come se abbandonarsi alla morte-non fosse-in qualche modo-arrendersi-Eppure
meglio fuggire che tradire-E se la Morte calerà il
suo velo-Io sarò lì-Ad aspettarla-Sorridendo.
Luz&César
P.S.: Ieri il dittatore è venuto a trovarmi. Mi ha
finalmente fatto capire ciò che vuole: mettere la sua
firma sul mio libro in cambio della libertà. Ovviamente
senza che nessuno venga mai a saperlo. Ora ho capito: ha fatto
così anche per i due libri precedenti. Chissà
quali sono i veri autori, chissà in quale cella marciscono…
Mi ha dato un mese di tempo per decidere, visto che è
atteso da un lungo viaggio all'estero. E' convinto che io
ceda, l'ho capito quando mi ha salutato prima di uscire.
Un'ora dopo ho scritto la poesia. Non cederò.
Roca Alijos, 24 febbraio2003
Casa de la Detenciòn Socorro
Cara signorina Luz, le scrivo dal carcere dove era rinchiuso
suo padre. La informo che due giorni fa l'abbiamo trovato
impiccato alla porta della cella.
Sul tavolo ha lasciato un biglietto nel quale dice di mandarle
come suo ricordo tutto ciò che gli apparteneva, e quindi
le invio tutti i suoi oggetti personali ed un manoscritto
rinvenuto sotto al cuscino. Dimenticavo. C'era anche un'altra
cosa scritta nel biglietto."La libertà è
un bene troppo grande per essere pienamente vissuta in un
mondo così piccolo. Ciao Luz. E scusami."
Tanto le dovevamo.
Juan Hernandez de Bahìa
PREFAZIONE ALL’OPERA
L’ISOLA DELLA LIBERTÀ
DI CÉSAR BUENDIA LOPEZ
Questo è un libro
che non sarebbe dovuto esistere. Se ci fosse un po’
di giustizia, intendo. Non credevo fosse ancora il tempo in
cui un uomo debba dare la vita per un’opera. Eppure
è così. Questo è un libro pieno di passione
e io lo odio. Affinché questo libro esista mio padre
non c’è più. Non ho la giusta distanza
dall’opera per proporvi questa o quella critica letteraria.
Sono vicina, troppo. Mi dispiace: perché questo è
un libro da manuale. Ma affinché esista, mio padre
non c’è più e io lo odio. Vi dico: amatelo
per me. Affinché, almeno sotto le vostre dita, respiri
tutto il sacrificio che è costato. Se non riuscite
ad amarlo: rispettatelo almeno. Ché esiste perché
un grande uomo è morto. Libero. E’ un libro pieno
di libertà, di insubordinazione, di rivolta e di vita.
Quello di cui dovrebbero essere piene tutte le pagine del
mondo. Ma non la vita di un uomo. Forse. Eppure io adoro i
libri. Io sono per la libertà. Io sono rivoluzionaria
e non mi piego, almeno credo. Io sono una scrittrice. Io sono
viva. Io dovrei impazzire per questo libro e per chi lo ha
scritto. Eppure lo odio. Perché ero sua figlia.
Luz Buendìa Lopez
Berlino, Settembre 2003
L'ISOLA DELLA LIBERTÀ
PRIMO CAPITOLO
Feci naufragio su un peschereccio, insieme ad altri due compagni,
e il mare ci portò su un'isola. Giunti a riva, venimmo
accolti da alcuni uomini: ci portarono nelle loro case, ci
rifocillarono e ci diedero dei vestiti.
Avevano visi amichevoli e parlavano la nostra lingua, anche
se in modo strano.
Dopo qualche ora di sonno, ci dissero che eravamo attesi in
piazza per essere presentati a tutti. Perché, ci spiegarono,
su quell'isola non vi era un re: le decisioni venivano prese
da tutto il popolo; solo per alcune decisioni minori un consiglio
dei dieci, rinnovato annualmente per sorteggio, era delegato
a decidere.
Ci guardammo in faccia increduli, abituati come eravamo ad
essere governati da uomini che arrivavano al potere in modo
sanguinoso.
Una volta arrivati in piazza, l'uomo più anziano, che
presiedeva l'Assemblea, parlò. E ci spiegò dove
fossimo.
"Tanti anni fa una nave carica di emigranti, scappata
dal suo paese, fece naufragio. La maggior parte dei passeggeri
morirono, ma alcuni si salvarono e raggiunsero quest'isola,
dove trovarono dei selvaggi che li accolsero come divinità.
Invece di andarsene decisero di rimanere: era la terra scelta
per loro dal destino. E rimasero mescolandosi con gli indigeni
del posto, insegnando loro molte cose ed imparandone altre.
Le due razze si mescolarono, quella di chi era sull'isola
da tempo immemorabile e quella degli uomini venuti da lontano.
Fu una mescolanza senza problemi, entrambe le razze sapevano
di poter apprendere molto l’una dall'altra. E così
fu. Da tre secoli su quest'isola seguiamo le stesse regole
di allora: sono il frutto della saggezza di due popoli, che
altro non volevano che la libertà. Nessuno di noi se
n'è mai andato, sarebbe libero di farlo quando vuole,
ma tutti noi sappiamo che la nostra terra è qui. Qui
dove nessuno potrà mai venire a toglierci quello che
è un diritto assoluto dell'uomo: la libertà.
Anche per questo non vogliamo che si conosca la nostra storia.
Voi ora siete arrivati qui per caso e siete liberi di decidere
se rimanere o andarvene. Spetta a voi scegliere."
I miei due compagni dissero di voler andare via e vennero
accontentati: una barca venne subito messa a loro disposizione,
con i viveri sufficienti per raggiungere la costa più
vicina. Quindi il vecchio pose a me la domanda: volevo rimanere
lì o tornare da dove venivo?
Risposi, senza indugio che rimanevo, non ci sarebbe stata
un’altra occasione per naufragare sull'isola della libertà.
Il vecchio fece un segno di assenso sorridendo. In quel momento
mi sentii felice.
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