Manuela Ardingo

Nel suo passato il più classico dei licei classici e la più digitale delle ingegnerie, trentacinque poesie, trentuno racconti e un libro: tutto comodamente barattabile. Nel suo presente la gestione quotidiana di un blog - http://mardin.blogs.com - e la prima stesura di un secondo libro. Cura rubriche e approfondimenti su diverse testate giornalistiche, cartacee e non. Collabora con Exibart e con BazarWeb. Ha vinto un concorso alla Scuola Holden di Torino per la scrittura di un monologo teatrale e partecipato a Pordenonelegge per teorizzare in sette giorni i confini della scrittura in rete, ma va fiera soprattutto delle sue recensioni cinematografiche che settimanalmente pubblica su CineWema. Attualmente, insieme ad Alessandro Tozzi, è finalista al Premio Teramo.

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Un libro da manuale, di Manuela Ardingo e Alessandro Tozzi

Nella primavera del 1993 César Buendìa Lopez rientra a casa, ad Aguas Calientes.
E' uno scrittore: famoso, conosciuto, stimato. Forse non da tutti, soprattutto da chi è al potere.
Non sa cosa il destino abbia in serbo per lui quel giorno: entra in casa e bacia la figlia Luz, adolescente. Poi saluta la moglie che sta leggendo un libro in veranda.
Dopo qualche minuto sentono bussare alla porta. La moglie va ad aprire e si trova davanti 4 poliziotti in divisa: le chiedono di entrare per un controllo. Li fa passare.
César, preoccupato, va incontro a quegli uomini: gli sorridono.
Capita che a volte anche la Morte lo faccia.
Uno dei quattro gli dice che deve seguirli perché un suo amico è stato arrestato e ha chiesto di vederlo. César chiede di chi si tratti: lui non ha amici che possano essere arrestati, dice. Ma col pensiero va almeno a dieci e forse più cari amici che conosce.
Il poliziotto dice che il nome per ora è segreto ma che il suo amico ha chiesto di lui, che è una cosa importante: ne va della vita di quell'uomo e di altre persone.
César si rimette il soprabito e li segue. Saluta la moglie, tranquillizzandola, e bacia la figlia.
Non poteva sapere che non le avrebbe riviste mai più.
La polizia, senza un interrogatorio, lo mette in galera insieme ad altri rivoltosi. Dice che è stato fatto il suo nome per un attentato che si stava preparando nella capitale. Ma César non sapeva nulla di tutto questo. Aveva dato sì dei soldi a degli uomini che conosceva per sostenere il partito popolare, ma di attentati non ne sapeva nulla. Lui è uno scrittore, fa quello di mestiere. Non butta le bombe in piazza, semmai nei libri, con i pensieri: è per questo che molti credono sia uno pericoloso.
Per tre mesi lo tengono lì, senza farlo uscire, sperando che confessi. Hanno bisogno che un nome importante sia coinvolto, per far vedere che il Governo del nuovo dittatore non ha riguardi nei confronti di nessuno. Ma César è forte, non crolla. Così lo mettono sotto processo.
Il processo dura tre anni, a porte chiuse, senza avvocati difensori. Viene condannato a venti anni di galera. Senza prove. Senza niente.
Grazie all'aiuto di alcuni amici riesce ad ottenere dal dittatore, che in pubblico dice di essere un suo grande estimatore, la possibilità di scontare la pena in un'isola dove la prigione è un po' meno dura. Lo mandano sull'isola di Roca Alijos, senza contatti con nessuno.
Forse peggio della prigione stessa.
Nel frattempo la moglie muore, lasciando da sola la figlia.
Un giorno di molti anni dopo, quasi per caso, gli capita fra le mani un libro scritto dalla figlia.
E' bellissimo. Ricomincia a scrivere anche lui.
Un giorno il dittatore, andato a trovarlo, lo scopre. Legge il primo capitolo del libro e lo trova meraviglioso. Come premio gli concede la possibilità di scambiare lettere con sua figlia.
Queste.

Roca Alijos, 24 Agosto 2002
Mia Adorata Luz, ho difficoltà a trovare le parole.
E per uno che nella vita ha fatto lo scrittore, si tratta di una cosa abbastanza strana.
Ho sempre sognato di rivederti, abbracciarti, e invece dopo tanto tempo devo accontentarmi di una semplice lettera…
Quanti anni sono che non ci vediamo? Potrei bluffare e dire una decina, ma so benissimo che sono nove anni, quattro mesi e undici giorni.
Almeno così li ho contati, giorno dopo giorno, nella mia cella.
Anche quando quella che vivevo sembrava tutto fuorché una vita, non ho mai smesso di pensare a voi. Siete voi che mi avete dato la forza e la speranza per cercare di uscire da tutto questo. Siete voi che ho invocato ogni sera, sperando che Dio mi desse la possibilità di ritrovarvi come vi avevo lasciate.
Purtroppo mamma non ce l'ha fatta, l'ho saputo solo qualche tempo fa. In quel momento, per la prima volta, ho pensato di farla finita. In fondo è quello che tutti quanti vorrebbero e se fossi io a farlo per loro sarebbe molto più facile.
Poi ho pensato a te.
Alla mia piccola Luz, rimasta da sola a combattere contro tutto il mondo, ed ho creduto che non fosse giusto. Per te e per mamma. Di certo non l'avrebbe voluto.
Era una gran donna tua madre. Mi ricordo quando l'ho conosciuta venticinque anni fa, mi chiese se io scrivessi. Ho pubblicato due romanzi, le risposi.
Sì, ma non li ha scritti per me, mi disse sorridendo.
Da quell'istante la amai follemente. Da quell'istante la amo follemente.
Perché io non voglio pensare che lei sia morta, come lei non l'avrebbe pensato se a morire fossi stato io: semplicemente ci siamo divisi per un periodo, ma presto torneremo insieme. Lo so. Che la Morte la puoi imbrogliare solo così: morendo o facendo finta che non esista.
Io non ho mai visto tua madre morire, quindi lei per me non è morta.
So che il mio discorso ti sembrerà folle ma, credimi, quando uno ha vissuto per dieci anni quello che ho vissuto io, diventa folle e comincia ad avere il bisogno di sperare, di credere in qualcosa. Quel qualcosa eravate voi due.
Ti sto di certo annoiando, scusami. Questo dovrebbe essere per noi un giorno di gioia, quasi come quello in cui sei venuta al mondo.
Lo sai che l'hai raccontato molto bene nel tuo libro?
Ho pianto per giorni leggendo quel brano e ogni volta maledicevo questa prigione e quello che mi separa da te. E' bellissimo il tuo libro, davvero, riesci a parlare di tutto senza che si possano muovere critiche a quello che hai scritto. Ed è anche per questo che è piaciuto a tutti, almeno così ho saputo: hai dato una speranza a quelli che sono, come me, dall'altra parte. E sono tanti, siamo in tanti, in questo difficile momento.
La speranza che ci sia una voce libera e fuori dal coro.
Ora ho ricominciato a scrivere anch'io, grazie al tuo esempio, fino a ieri avevo perso la voglia di farlo. Voglio essere anch'io una voce fuori dal coro, anche se nessuno la potrà mai ascoltare. Per ora mi basta sentirla anche da solo, qui, su quest'isola, nelle mie due ore di libertà, quando cammino su e giù per la spiaggia. Mi capita di guardare lontano, quando il cielo è sereno: a volte mi sembra di rivedere casa, e quasi vorrei tuffarmi in mare e nuotare fino a quel miraggio...
Il mio carceriere bussa alla cella, ha detto che la lettera deve essere pronta.
Mi sembra già una fortuna che il dittatore ci abbia concesso di scriverci, quando è venuto a farmi visita ed ha letto il primo capitolo del mio libro. Ne è rimasto talmente folgorato, ha detto, che pur di convincermi a continuarlo ha acconsentito che io e te ci scambiassimo una lettera al mese.
Ti lascio con un bacio ed una preghiera: di mettere un mio romanzo sulla tomba di mamma. Uno qualunque. Dopo i primi due gli altri li ho scritti tutti per lei, lei lo sapeva.
Ben ritrovata.
Tuo padre

Aguas Calientes, 13 settembre 2002
Come una nuvola bella le tue parole arrivano nel riquadro della mia finestra.Una di quelle nuvole bianche che ti fanno capire che il cielo è profondo e alto e blu.Ché senza riferimenti non ti accorgi di niente.
Così io: dalla morte di mamma vago.
Alla ricerca di una finestra da attraversare. Alla ricerca di uno specchio in cui riconoscermi.Alla ricerca di qualcuno cui accostarmi per capire di che colore sono.
Io, Luz Buendìa Lopez: di madre in paradiso e padre all’inferno.
Ho passato anni di buia insicurezza. Poi ho trovato una pallida luce nella scrittura.
Mi sono ricordata di quanto ti piaceva scrivere. E così ho iniziato anch’io. Per ritrovarti tra le righe.
Scrivendo cerco di illuminare gli altri e questo fa bene anche a me. D'altronde mi chiamo Luz.
E poi la tua lettera. Ho pianto, tremato e pianto con quei fogli tra le mani.
Ho voluto bene persino a lui, l’uomo che ti tiene lontano da me, perché mi ha dato una gioia infinita.
Non avrei mai sperato che il mio libro arrivasse a te, ma la scrittura è magia.
Ora sto meglio.I l mittente sulla tua busta mi da’ sicurezza. L’ho incorniciato e messo sulla scrivania.
Si tratta di un riferimento fisico. Non so se puoi capire cosa provo.
Voglio dire: tu hai sempre saputo dove ero. Io mai.
Poter essere ovunque e in nessun posto è come essere morti per chi aspetta. Ci hai mai pensato?
Mi rivolgevo a te come a mamma.U n lungo dolorosissimo monologo finalmente interrotto.
Non sarò libera finché non lascerai quel carcere, ma oggi mi sento un po’ più viva. Finalmente un po’ più viva, dopo nove anni cinque mesi e un giorno. Credo che andrò a comperarmi un gelato. Uno di quelli grandi pistacchio e amarena che mangiavamo al parco la domenica. Per festeggiare. E porterò un tuo libro sulla tomba di mamma.
Spero che non ti dispiaccia: c’è già anche il mio.
Luz

Roca Alijos, 20 Ottobre 2002
Due giorni fa è arrivata la tua lettera. E sono stati due giorni tremendi per me.
Perché per la prima volta in tanti anni ho pensato a quello che è stata per me questa vicenda, come se una campana avesse suonato nella cella e il suo eco continuasse a rimbombare qui dentro, a ricordarmi quello che ho perduto e che sto perdendo.
Lo sai, volevano da me dei nomi, che tradissi la mia gente. E io non l'ho fatto, non lo avrei mai potuto fare. Ma col mio comportamento, solo ora me ne rendo conto, è come se gli avessi fatto i nomi di te e di tua madre. Facendo così ho perso voi.
Io fino ad oggi non mi ero mai posto questo dubbio, mi sembrava l'unica cosa possibile da fare. Ieri, dopo aver letto la tua lettera, ho pensato per un istante di dire tutto quanto quel poco che so, magari avrei avuto salva la vita, avrei potuto uscire da qui e rivederti.
Stavo per bussare alla porta e chiamare il mio carceriere quando ho pensato a come avrei potuto sopportare quegli sguardi al mio ritorno, quegli occhi che mi avrebbero detto ad ogni istante che sono colpevole.
Posso anche riuscire, forse, a sopportare che tu non sia con me, ma l'idea che tutti mi vedano come un traditore nella mia patria tanto amata… no, preferisco la morte.
Scrivi che paradiso e inferno sono per te luoghi tanto ignoti.
Lo erano anche per me, almeno fino a che non ho cominciato a scriverti: questa tua lettera è il mio paradiso e il mio inferno personale.
La scorsa settimana il dittatore ha voluto leggere il secondo capitolo del mio libro.
L'ho intitolato "L'isola della libertà", parla di una terra dove gli uomini nascono tutti uguali e dove non ci sono differenze e barriere. Dove si possa ancora coltivare la parola speranza.
Il dittatore mi ha elogiato e detto che debbo continuare, non so cosa abbia in mente.
E' un uomo strano, non so se lo hai mai visto in una delle sue parate militari.
Avrà una sessantina d'anni, tarchiato, occhiali da sole perennemente sul viso a coprire due occhi cattivi nei quali vedi uno per uno tutti i peccati del mondo.
Non posso dire che lo odio, ma credo sia la persona che vorrei veder sparire da questo mondo al più presto; di certo odio il mondo di cartapesta che lui ed una sparuta minoranza portano avanti, mentre il popolo è costretto alla miseria e all'ignoranza.
Pure l'uomo ha un certo fascino, ma quando sorride ho paura. "Non fidarti mai dei potenti quando sorridono", è una frase che ho trovato nel tuo libro: mi ha fatto pensare che i potenti sorridono quasi sempre.
Quando ho letto che ne hai messa una copia sulla tomba di mamma, avrei dato non sai quanto per essere lì con te. Con voi.
Ero sulla spiaggia, ho preso un sasso di quelli piatti, e l'ho tirato in mare cercando di farlo arrivare il più lontano possibile. E’ un gioco che facevamo sempre quando eri piccola, non riuscivi mai a lanciarlo lontano, il sasso affondava subito nell'acqua.
Allora piangendo mi chiedevi di aiutarti a lanciarlo. E insieme arrivavamo lontano, tu mi guardavi e sorridevi. Sembrava solo un gioco.
Oggi, ti dicevo, ho lanciato quel sasso pensando a te, e il sasso è arrivato lontanissimo, mi è sembrato volasse sull'acqua, credevo non si fermasse mai e che ad un certo punto mettesse le ali e volasse via: io sono sicuro che mi hai aiutato tu a lanciarlo, in quest'isola dove sta rinascendo la speranza. Debbo a te la mia forza di oggi.
Stammi vicina, ti prego. Insieme possiamo ancora volare.
Un bacio
Tuo padre

Aguas Calientes, 6 novembre 2002
Vero quello che dici sul mio nome e quello di mamma,sono nomi che hai fatto al posto di quelli dei tuoi amici. Verissimo. La nostra famiglia è stata segnata dal tuo silenzio.Io e mamma eravamo quelle da consolare. Quelle che una forza feroce e indomabile rendeva diverse. Dicevano che eri un eroe, che dovevo essere orgogliosa di avere un padre come te e che il mondo aveva bisogno di esempi simili.
La verità era che io non avevo più un padre.
Mamma era sicura che non ti avremmo più rivisto. Come del suo amore per te.
Diceva di amarti proprio per la tua infinita coerenza. Diceva che quanto più non ti piegavi tanto più ti amava. Io no. Io non capivo. Io ero piccola.
Vedevo mia madre andare fiera di quello che ci accadeva.Vedevo uomini tornare dopo aver parlato e pensavo che non era poi così male. Ché chi è innocente è giusto che viva con la figlia. Ché la gente dimentica in fretta e quello che conta è la vita. Alcuni tornavano e continuavano a dire bene di te mentre mi abbracciavano.
Il tuo povero padre, fossero tutti così! Io, per esempio, non ho resistito. Dicevano.
In quegli anni ho conosciuto l’odio.
Odiavo quella untuosa civetteria, quel modo di incensare per difendersi. Odiavo il nostro essere diversi, il nostro essere sempre speciali. Mi chiedevo perché tu non potessi fare come tutti e tornare da noi.
Perché tuo padre non è come tutti, tuo padre è speciale. Così rispondeva mamma.
Lei era con te sempre. Vederla così convinta e pura mi demoralizzava ancora di più.
Mi sentivo in colpa quando pensavo che la tua era un’ingiustizia verso di noi.
Quando pensavo di essere l’unica persona ordinaria della famiglia.
L’unica che pensasse che un tuo abbraccio potesse valere più di mille ideali.
Non parlavi per non perdere i tuoi amici e perdevi me.
E poi: non riuscivo a dimenticare quel giorno, non riuscivo a dire domani, non riuscivo ad avere fiducia.
Non capivo: un giorno mi avevi detto che avresti dato la vita per me e, invece, non riuscivi a dare neanche un nome a quegli uomini...
Mi sentivo tradita.Ora ti capisco ma solo con la mente.
Il mio cuore ti accoglierebbe comunque: impacciato e leggero come al solito.
Ché la gente dimentica in fretta e quello che conta è la vita.
Luz

Roca Alijos, 9 Dicembre 2003
Oggi sono passati 30 anni dalla pubblicazione del mio primo libro.
Mi ricordo che quando ebbi in mano la prima copia stampata mi aggiravo per la città quasi volando. Cercai subito mio padre perché lui lo vedesse e fosse orgoglioso di me.
Lui mi guardò, sfogliando appena il libro, dicendomi: "Non importa che tu abbia pubblicato un libro, ne sono capaci tutti. Importa quello che hai scritto dentro al libro."
Due giorni dopo, al mio risveglio, trovai un biglietto sul comodino.
Diceva solo: "Ho letto. Ora per me sei uno scrittore".
Quello che ti voglio dire è che a me non interessa vivere se quello che porto dentro al cuore non è fino in fondo ciò che sento, non potrei farcela a tirare avanti.
E dico questo con la morte nel cuore, ora che ti ho ritrovata, ora che ti sento vicina, ora che sei la mia isola della libertà.
La scorsa settimana il dittatore si è di nuovo informato sul libro, voleva sapere a che punto fosse. Gli manca solo un capitolo, e poi è pronto, credo.
Non mi è piaciuta la faccia che ha fatto, temo ci sia sotto qualcosa di strano.
Ho paura. Anche per te. Scappa finché sei in tempo da questo paese, salva almeno la tua vita. Potremmo continuare a scriverci, se vuoi, ormai conosco il carceriere, è una brava persona, forse ci permetterebbe di comunicare ancora.
Mi piacerebbe se, come ultima lettera dalla nostra patria, tu mi mandassi una poesia.
Ho visto che sei bravissima, eri già un talento sin da piccola.
E mi piacerebbe poi finirla con parole mie, in modo che rimanga per gli anni che verranno, a illuminare il nostro cammino, dovunque li passeremo, io e te.
So che sono pazzo: sono qui in prigione e dico di voler scrivere una poesia insieme a te, invece di tornare lì in tua compagnia.
Forse è vero, sono pazzo, ma i pazzi aprono la strada ai saggi che le percorreranno, disse un giorno qualcuno.
Vorrei un po' della tua saggezza, figlia mia. In cambio posso darti solo un po' di pazzia…
Un bacio Tuo padre

Aguas Calientes, 17 Gennaio 2003
Ti ho scritto la poesia che volevi: inevitabilmente triste.
Eccola, è senza titolo.

Come se decidere di morire fosse pazzia-Come se pensare di non vivere fosse solo folle ironia-I fogli s’inzuppano cerebrali-Le parole si gonfiano maniacali-Vano il nostro tergiversare-Inutile lavorio di menti inquiete-Io bagno e tu asciughi-Io asciugo e tu bagni-Tergiversiamo-Cerchi di confondermi mentre ti allontani-Solo questo-Come se fuggire dalla vita non fosse tradire-Come se abbandonarsi alla morte
non fosse-in qualche modo-arrendersi.
Buon Natale, papà.
E Buon anno
Tua Luz

Roca Alijos, 9 Febbraio 2003
Come se decidere di morire fosse pazzia-Come se pensare di non vivere fosse solo folle ironia-Perché vivere è pazzia-Se non lo fai seguendo il tuo istinto-I fogli s’inzuppano cerebrali-Le parole si gonfiano maniacali-Quante volte ho strappato quei fogli-Quante pianto su quelle parole-Vano il nostro tergiversare-Inutile lavorio di menti inquiete
Come se due menti inquiete-Non fossero capaci di volersi bene-Io bagno e tu asciughi
Io asciugo e tu bagni-Tergiversiamo-Io chiamo e tu rispondi-Tu rispondi e io chiamo
Tergiversiamo-Cerchi di confondermi-Mentre ti allontani-Solo questo-Eppure la mia distanza da te-E' sempre la stessa-Da sempre-Come se fuggire dalla vita non fosse tradire
Come se abbandonarsi alla morte-non fosse-in qualche modo-arrendersi-Eppure meglio fuggire che tradire-E se la Morte calerà il suo velo-Io sarò lì-Ad aspettarla-Sorridendo.
Luz&César
P.S.: Ieri il dittatore è venuto a trovarmi. Mi ha finalmente fatto capire ciò che vuole: mettere la sua firma sul mio libro in cambio della libertà. Ovviamente senza che nessuno venga mai a saperlo. Ora ho capito: ha fatto così anche per i due libri precedenti. Chissà quali sono i veri autori, chissà in quale cella marciscono…
Mi ha dato un mese di tempo per decidere, visto che è atteso da un lungo viaggio all'estero. E' convinto che io ceda, l'ho capito quando mi ha salutato prima di uscire.
Un'ora dopo ho scritto la poesia. Non cederò.

Roca Alijos, 24 febbraio2003
Casa de la Detenciòn Socorro
Cara signorina Luz, le scrivo dal carcere dove era rinchiuso suo padre. La informo che due giorni fa l'abbiamo trovato impiccato alla porta della cella.
Sul tavolo ha lasciato un biglietto nel quale dice di mandarle come suo ricordo tutto ciò che gli apparteneva, e quindi le invio tutti i suoi oggetti personali ed un manoscritto rinvenuto sotto al cuscino. Dimenticavo. C'era anche un'altra cosa scritta nel biglietto."La libertà è un bene troppo grande per essere pienamente vissuta in un mondo così piccolo. Ciao Luz. E scusami."
Tanto le dovevamo.
Juan Hernandez de Bahìa

PREFAZIONE ALL’OPERA L’ISOLA DELLA LIBERTÀ
DI CÉSAR BUENDIA LOPEZ

Questo è un libro che non sarebbe dovuto esistere. Se ci fosse un po’ di giustizia, intendo. Non credevo fosse ancora il tempo in cui un uomo debba dare la vita per un’opera. Eppure è così. Questo è un libro pieno di passione e io lo odio. Affinché questo libro esista mio padre non c’è più. Non ho la giusta distanza dall’opera per proporvi questa o quella critica letteraria. Sono vicina, troppo. Mi dispiace: perché questo è un libro da manuale. Ma affinché esista, mio padre non c’è più e io lo odio. Vi dico: amatelo per me. Affinché, almeno sotto le vostre dita, respiri tutto il sacrificio che è costato. Se non riuscite ad amarlo: rispettatelo almeno. Ché esiste perché un grande uomo è morto. Libero. E’ un libro pieno di libertà, di insubordinazione, di rivolta e di vita. Quello di cui dovrebbero essere piene tutte le pagine del mondo. Ma non la vita di un uomo. Forse. Eppure io adoro i libri. Io sono per la libertà. Io sono rivoluzionaria e non mi piego, almeno credo. Io sono una scrittrice. Io sono viva. Io dovrei impazzire per questo libro e per chi lo ha scritto. Eppure lo odio. Perché ero sua figlia.

Luz Buendìa Lopez Berlino, Settembre 2003

L'ISOLA DELLA LIBERTÀ
PRIMO CAPITOLO
Feci naufragio su un peschereccio, insieme ad altri due compagni, e il mare ci portò su un'isola. Giunti a riva, venimmo accolti da alcuni uomini: ci portarono nelle loro case, ci rifocillarono e ci diedero dei vestiti.
Avevano visi amichevoli e parlavano la nostra lingua, anche se in modo strano.
Dopo qualche ora di sonno, ci dissero che eravamo attesi in piazza per essere presentati a tutti. Perché, ci spiegarono, su quell'isola non vi era un re: le decisioni venivano prese da tutto il popolo; solo per alcune decisioni minori un consiglio dei dieci, rinnovato annualmente per sorteggio, era delegato a decidere.
Ci guardammo in faccia increduli, abituati come eravamo ad essere governati da uomini che arrivavano al potere in modo sanguinoso.
Una volta arrivati in piazza, l'uomo più anziano, che presiedeva l'Assemblea, parlò. E ci spiegò dove fossimo.
"Tanti anni fa una nave carica di emigranti, scappata dal suo paese, fece naufragio. La maggior parte dei passeggeri morirono, ma alcuni si salvarono e raggiunsero quest'isola, dove trovarono dei selvaggi che li accolsero come divinità. Invece di andarsene decisero di rimanere: era la terra scelta per loro dal destino. E rimasero mescolandosi con gli indigeni del posto, insegnando loro molte cose ed imparandone altre. Le due razze si mescolarono, quella di chi era sull'isola da tempo immemorabile e quella degli uomini venuti da lontano. Fu una mescolanza senza problemi, entrambe le razze sapevano di poter apprendere molto l’una dall'altra. E così fu. Da tre secoli su quest'isola seguiamo le stesse regole di allora: sono il frutto della saggezza di due popoli, che altro non volevano che la libertà. Nessuno di noi se n'è mai andato, sarebbe libero di farlo quando vuole, ma tutti noi sappiamo che la nostra terra è qui. Qui dove nessuno potrà mai venire a toglierci quello che è un diritto assoluto dell'uomo: la libertà. Anche per questo non vogliamo che si conosca la nostra storia. Voi ora siete arrivati qui per caso e siete liberi di decidere se rimanere o andarvene. Spetta a voi scegliere."
I miei due compagni dissero di voler andare via e vennero accontentati: una barca venne subito messa a loro disposizione, con i viveri sufficienti per raggiungere la costa più vicina. Quindi il vecchio pose a me la domanda: volevo rimanere lì o tornare da dove venivo?
Risposi, senza indugio che rimanevo, non ci sarebbe stata un’altra occasione per naufragare sull'isola della libertà. Il vecchio fece un segno di assenso sorridendo. In quel momento mi sentii felice.