Nulla
di quello che si vive va buttato
Daniele Boccardi si è suicidato a 31 anni. Era il giorno
di San Valentino del 1993. Dieci anni fa.
Qualche giorno prima di una chiamata da una nota casa editrice.
È un dato pesante, per uno scrittore, essersi suicidato
così giovane, e questo tenta i lettori - inevitabilmente
- di domandarsi il perché. E tentano di leggere Daniele
col capo poggiato sulla tristezza del suo suicidio.
È ovvio che, da un punto di vista letterario, non c'è
nulla di più sbagliato. Non ce ne deve importare niente,
del perché e nemmeno che si è suicidato.
Credo (e il mio punto di vista è quello di un lettore
comune) che bisognerebbe leggere gli scritti di Daniele Boccardi
dimenticandosi che si è ucciso giovanissimo.
Possiamo accostarci a lui per curiosità, d'accordo,
ma poi dobbiamo rispettare l'uomo che è stato, e lo
scrittore che è, scordandoci che si è tolto
la vita.
I suoi racconti non vanno letti alla luce
malinconica della sua morte. Perché i suoi racconti,
benché spesso malinconici, sono i racconti di un ragazzo
che amava la vita. Questo almeno è quello che ci resta
di lui. Un ragazzo che l'amava così tanto - la vita
- che ha sempre creduto di non capirla e di non viverla appieno.
C'è un verso, in una delle sue tante poesie prive di
titolo, in cui si chiede: "perché non sono nato
davvero?". Non è molto distante da un'affermazione
di Cummings: "…sicché la mia vita (che amava
il sole e la luna)/assomiglia a qualcosa che non è
accaduto."
Ecco. La vita somiglia a qualcosa che non è accaduto.
All'isola che non c'è. Un eterno aspettando Godot.
Forse Daniele amava così tanto la vita da non sentirsi
corrisposto. Una specie d'amore impossibile. Come quello di
Salomè per Giovanni Battista, che inevitabilmente conduce
alla tragedia.
Leggendo i suoi racconti, soprattutto le sue Vite minime.
Scritti diseducativi (Stampalternativa, 2003), ci si ritrova
nel vortice d'un universo folgorante. Quello di tutti i giorni.
Dei nostri giorni. Da qui, da quest'amore per il quotidiano,
per il minimale, gli accostamenti a Carver. Ma, si sa, il
minimalismo è una maschera, dietro alla quale lo scrittore
cela la propria incapacità nel risolvere il mistero
dell'esistenza.
Leggendo Boccardi a volte si ha l'impressione di ammirare
un quadro iperrealista, nel quale uno spaccato di vita di
tutti i giorni, riprodotto perfettamente, è così
limpido e folgorante da chiedersi: è tutto qui, è
davvero tutto qui, oppure c'è dell'altro?
Daniele, originario di Massa Marittima, pur laureandosi a
Pisa in Filosofia della Scienza, i suoi racconti sono semplici,
esatti, lineari. Senza sbavature. Stanno lì, assolati
come la gioventù, a indicarti la vita.
Daniele nei suoi scritti non amava filosofeggiare, teorizzare,
ma vivere - vivere. Fare esperienza. Il più possibile,
fino a consumarsi, per capire. Capire la vita, capire il mistero.
I suoi racconti sono questo. Esperienze per capire.
Recentemente ho letto un saggio in cui Milan Kundera definiva
la giovinezza come l'età lirica, in cui gli uomini
guardano il mondo con le lenti deformanti della soggettività.
Tutti noi abbiamo scritto delle poesie d'amore a quindici
anni. Il che la dice lunga sulla liricità della giovinezza,
in cui il mondo è un arcobaleno.
Mi piace credere che il mondo, per Daniele Boccardi, fosse
esattamente come traspare dai suoi racconti: un arcobaleno.
Va bene, ci sono le delusioni d'amore, le prof. sono un po'
zoccole, ma guardare loro le mutandine è un'esperienza
unica, e bellissima.
C'è un'altra cosa, oltre all'amore per la vita, che
Daniele mi ha insegnato leggendolo. Nulla di quello che si
vive va buttato. Scrivere sempre, di tutto. Per pubblicare
c'è sempre tempo. L'importante è scrivere, l'importante
è vivere. Riporta tutto sulla carta, per impedire che
un giorno il vento si porti via tutto.
Inoltre, non credo che Daniele usasse la letteratura per colmare
i suoi vuoti interiori. Credo la usasse nella maniera più
sana. Non per crearsi un mondo tutto suo, in cui alienarsi,
ma per scrivere di sé, e di sé creare uno specchio
in cui specchiarsi. E capirsi, capire.
La prima volta che ho letto Daniele Boccardi mi è venuta
in mente la storia della bambola di sale che cerca il mare.
È una storia antica, di quelle raccolte da Anthony
de Mello nelle sue piccole antologie di saggezza.
C'è questa bambola di sale che cerca il mare. Non lo
cerca a tempo perso. Lo cerca con tutte le sue forze. Perché
vuole sapere cos'è. Un giorno ci arriva. Al mare. Lo
vede. Ci si immerge. Essendo fatta di sale, la bambola comincia
a sciogliersi. Alla fine, prima che l'ultimo granello si sia
sciolto, dice a se stessa (e bisogna immaginare che lo abbia
detto ridendo): "Adesso so chi sono."
Cercava il mare e ha trovato se stessa.
Mi piace credere che gli scritti di Daniele siano questo (per
lui che ha scritto, e per noi che continuiamo a leggerlo):
un percorso per arrivare al mare. E - miracolosamente - ritrovare
noi stessi.
Marco Marino
tratto da www.akkuaria.org
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