Nessuno di noi sa giocare a scacchi

E’ difficile la vita dell’aforista, obbligato a ridurre il mondo in un pensiero che possa rappresentare l’intero; se poi l’aforista è anche un filosofo, allora risulta forse insopportabile, dopo aver riassunto il mondo in poche grandi verità avendolo compreso, continuare a rimanervi dentro, lo sforzo principale era compiuto.
Daniele Boccardi da Massa Marittima, suicidatosi a 32 anni nel 1992, deve aver pensato questo, il suo aforisma più beffardo probabilmente, per chi lo ha conosciuto e per chi invece ha avuto modo di incontrarlo solo successivamente, attraverso i suoi scritti, poesie racconti aforismi e quant’altro, l’ultimo dei quali è “Non so giocare a scacchi”, edito da Stampa Alternativa in edizione Millelire.
“Due caratteristiche mi impediscono di diventare un filosofo, la pigrizia e l’immodestia”, esordisce così Boccardi in uno dei suoi aforismi, lasciandoci intravedere un mondo difficile da comprendere, ma forse ancor più difficile da aver compreso, come lui sembra aver fatto in alcuni suoi passaggi, nei quali “scrive cose diseducative e non si interessa mai di etica”, come ama dire.
Bluffando, con il lettore e con se stesso.
Che invece proprio di etica è permeata la sua scrittura, nei confronti del mondo (chi parla di un altro mondo non prenda esempi da questo), della religione (non conosco bene Dio, ma non mi piacciono quelli che si fanno pregare), di se stesso (purtroppo non sono un artista o un filosofo, ne sono l’introduzione), del suo amore (non è vero che ti abbia dimenticata, ogni tanto ti dedico qualche masturbazione), del lavoro (i filosofi sono più adattabili perché sanno un poco di tante cose, al limite niente di tutte. Il nostro declino è iniziato con la divisone del lavoro).
Ma è un’etica che non sale in cattedra, non diventa mai pedante, anzi riesce perfino a far sorridere e a farci schierare dalla sua parte, cosa che è difficile avvenga nel caso in cui ci sia chi punti il dito nei confronti dell’umanità, nella quale bene o male siamo compresi anche noi che leggiamo, scavando dentro vizi che come un fardello ci si porta dietro.
Pensare che una mente lucida come quella di Daniele, che arriva a dire “io non so pensare senza schemi…io sono sempre in grado di fare il punto della situazione”, possa aver posto volontariamente fine alla sua vita, significa rivolgere un atto d’accusa al sistema intero, prima che a lui stesso, per non essere riuscito a far sbocciare in alcun modo le sue belle e grandi qualità, se non dopo morto.
E a leggere, dopo un pensiero molto bello nel quale Daniele usa il puzzle come metafora della vita, nella quale occorre possedere tutte le tessere per darle un senso, la sua domanda finale “Nell’arco di un’esistenza, ad un uomo, verranno largite tutte le tessere?”, viene da rispondere che no, questo non avviene sempre, almeno nel caso di Daniele non è stato così.
Ma la sua, purtroppo, è anche la nostra sconfitta: anche noi, come te, caro Daniele, non sappiamo giocare a scacchi.
Vorrà dire che, il giorno che prima o poi ci rivedremo, impareremo a giocare insieme.

Un abbraccio

Alessandro Tozzi