Agenzia Fotografica
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Stefano Pacini, SLIDING DOORS
Catalogo mostra + CD Audio Soundtrack
112 pagine, € 10
“Viaggio nel tempo e nello
spazio d’Italia” potrebb’esser definita
questa raccolta d’immagini scattate da Stefano Pacini.
Nel tempo, lungo l’arco d’un quarto di secolo.
Nello spazio, lungo la direttrice nord-sud. Nel tempo e nello
spazio: non nella storia e nella geografia. Intendiamoci,
non che manchino le coordinate temporali (le date) o spaziali
(i luoghi). Che, anzi, sono puntualmente indicate.
Ma queste immagini non si
fanno catturare e rinserrare nell’angustia della data
e del luogo. Si affrancano dalla costrizione spazio-temporale
(là e allora, qui e oggi) e si propongono come un itinerario
(ma, vedremo, più d’uno) per suggerire e suscitare
(talvolta: imporre) impressioni, emozioni, riflessioni.
Impressioni: suggerite da
volti, sorpresi dallo scatto di Pacini o consapevolmente partecipi
del gioco, o da situazioni corali, che rinviano ad archetipi
di vita collettiva. Emozioni: come quelle suscitate da una
briciola d’Italia ancora intatta o da un sorriso carpito
in un contesto incongruo. Riflessioni: imposte – sì,
imposte - da rappresentazioni di miseria, da scene di squallore,
da episodi di lotta, da povere feste dell’Unità.
“Viaggio nel tempo
e nello spazio d’Italia”, dunque. Ma non contrapposto
al titolo voluto da Stefano per la sua mostra. Piuttosto un
sottotitolo, una nota a margine, che prospetta una chiave
di lettura. Una, fra le molte possibili.
Di sicuro non una che vi
leggesse una sorta di petit tour, rievocazione contrappuntistica
del Grand Tour sette-ottocentesco quando rampolli dell’aristocrazia,
letterati e artisti transitavano l’Italia – tappe
obbligate Venezia, Firenze, Roma, Napoli e, per i più
avventurosi, Palermo – alla ricerca nostalgica del passato,
tra rovine e musei. Pacini è contemporaneo delle sue
immagini e documenta l’Italia “che cambia”
da testimone, non c’è nostalgia. Magari rinveniamo
qualche venatura di rimpianto quando il cambiamento si declina
come smarrimento d’un valore o scomparsa d’un
ambiente.
Anche l’Italia delle
guide turistiche (“ubertosi colli, industri cittadine,
illustri monumenti,….”) è, più che
lontana, estranea alla visione che ci offre Stefano. Non una
delle sue immagini è un’illustrazione: la realtà
è vista da una certa distanza, che non si fa distacco,
ma piuttosto partecipazione, una partecipazione che non ottunde
l’occhio critico.
Semmai, se proprio dovessimo
cercar precedenti a questo viaggio, li rintracceremmo nei
viaggi attraverso l’Italia di Guido Piovene o lungo
il Po di Mario Soldati: viaggi di curiosità colta,
di attenzione ai reperti della civiltà materiale, di
simpatia umana, di vis polemica, di evocazioni storiche e
letterarie. E tuttavia nemmeno simili rimandi sembrano appropriati.
Queste immagini si nutrono, certo, di curiosità, di
attenzione, di simpatia e di evocazioni: ma senz’alcun
cedimento alla reinvenzione letteraria o al divertissement
erudito. Atteggiamenti estranei all’inconfondibile stile
di Pacini, che è quello di una fredda passione civile,
che non si nega certo al sorriso ma non trattiene lo sdegno
né rinuncia all’ironia.
In ogni caso Piovene ci regala
una citazione assai pertinente, quando scrive, nel 1974, “Mi
conforta pensare che quanto sparisce al mondo è oggi
travasato in migliaia di fotografie che riempiono nuovi archivi.
Vuol dire che l'oblio attaccherà le fotografie archiviate
un po' più tardi del modello. È bene però
moltiplicarle, non lasciar nulla che non abbia una seconda
immagine; in un primo tempo essa rimarrà sepolta in
enormi archivi sotterranei; poi passerà in un satellite,
oppure in un corpo stellare e qui dimorerà definitivamente…..”.
Per il momento queste fotografie
non sono archiviate, vivono in questa mostra e in quelle che
verranno. La memoria fotografica – ogni foto è
già memoria subito dopo il clic - è duplice:
si impregna del passato (quell’attimo appena impresso)
e intanto induce a prevedere (che è accaduto dopo un
minuto o un decennio?), svariando tra ricordo e presentimento.
Il ricordo è consegnato nelle immagini, il presentimento
si avverte nell’urgenza di andare oltre, di vedere oltre.
Stefano, col suo personalissimo modo di porsi di fronte al
reale - lo documenta ma non si limita a registrarlo - ci riflette
e ci invita a riflettere, smontando la macchina dell’immagine
perché possiamo coglierne l’essenza, capirne
il contenuto, percepirne il significato, decifrarne le allusioni.
Questa è appunto la sua sintassi: vedere, interpretare,
immaginare. Così ci introduce alle tante Italie, nelle
cento sfumature di persone, luoghi, situazioni, attraverso
il tempo. E così nei “frammenti” di Pacini
prende forma un ritratto del nostro Paese avvincente e (non
si trova purtroppo un aggettivo meno logoro) inquietante.
Il quarto di secolo narrato
dalle immagini coincide con una fase di turbolenze e trasformazioni
nella vita nazionale. Non occorre ricordarne i passaggi che
ne hanno scandito il tempo, tanto sono presenti alla memoria
collettiva. Lo stragismo nero, il terrorismo brigatista, la
rivolta giovanile (il ’77!), tangentopoli, le speranze
per un’Italia “paese normale”, la vittoria
politica delle ragioni dell’egoismo e del privilegio.
Sulla scena mondiale: la caduta del muro di Berlino, la guerra
del Golfo, lo sfacelo balcanico....
I mutamenti nella società
non sono riconducibili a eventi clamorosi: opera un cambiamento
strisciante fatto di slittamenti progressivi (le “sliding
doors”), che rende molti tratti dell’Italia 2001
irriconoscibili rispetto a quelli dell’Italia 1975.
In quest’anno s’era già concluso il sommovimento
che aveva fatto del nostro paese un paese industriale: la
fuga dalle campagne, l’informe crescita delle periferie
urbane, lo sradicamento di milioni di italiani dal sud al
nord. Ma dal 1975 al 2001 operano processi di trasformazione
meno appariscenti ma non meno rivelatori di un’Italia
“che cambia”: l’erosione delle identità
politiche tradizionali, la frantumazione delle identità
sociali del lavoro dipendente in una galassia di lavori eufemisticamente
definiti “autonomi”, l’allentamento dei
vincoli di solidarietà, l’estensione anche ai
territori rurali del modello di vita urbano e del correlato
malessere, l’esplosione – fra precipitosi timori
apocalittici e infondati entusiasmi apologetici – delle
nuove tecnologie sul paradigma di Internet.
A chi sappia leggere le foto
di Stefano non sarà difficile scorgervi i segni –
ora diretti ora allusi - della trasfigurazione. Tutt’altro
che pacificato ma mai urlato, il suo ritratto dell’Italia
si snoda fra numerose flessioni tematiche.
Ecco l’Italia della
politica che si sdipana dalle giovani donne di 8 marzo (1975)
al pugno alzato (Genova 21 luglio) ventisei anni dopo da un
giovane no global, passando per i Funerali di Berlinguer,
la Tomba di Pinelli e tante altre tappe.
L’Italia del lavoro
è racchiusa in pochi densi frammenti dal forte valore
simbolico, come la gru di Miniera abbandonata o il Monumento
ai minatori di Ribolla, oppure nella cifra del reportage,
come nei cancelli della fabbrica di Piombino e in Operai fuori
da quei cancelli, in un corteo di lotta.
E c’è l’Italia
degli “ultimi” rappresentati con toccante solidarietà
(Rom calabresi, Assemblea al campo nomadi) o con immagini
vibranti di sdegno come in Il muro di Reggio Calabria contro
gli zingari, Interno baraccopoli, Container per terremotati.
L’Italia “che
cambia” trova icastiche raffigurazioni in un prima come
quello di Entroterra maremmano e in un dopo come quello definito
da Stefano Incubo commerciale. Il cambiamento, però,
riconosce il suo riscontro dialettico nella fissità
dei luoghi intoccati dal tempo: Matera, Lula-Barbagia, Boschi
maremmani, Trulli...
La freccia che si staglia
sulla strada di notte, Non-luogo nel titolo di Pacini, è
una sottile provocazione. Che spinge a ricercare tanti altri
“non luoghi”, accomunati dalla desolante assenza
di significato, quando la banalità del nostro tempo
si incarna nei luoghi e ne dissolve l’identità:
Reggio Calabria (1994), Parcheggi che avanzano, Centro commerciale
(1999), Veneto, centro commerciale, ne sono eloquenti esempi.
Per chiudere, un suggerimento
ai visitatori. Un suggerimento dettato da una lunga consuetudine
con le immagini di Stefano Pacini: guardarle tutte una prima
volta per capirne il senso; una seconda volta per scegliere
i propri percorsi personali, guidati da un “criterio”
(atteggiamento, sentimento, tema).
Si presentano qui –
sommessamente, a mo’ d’esempio - i nostri percorsi.
Guidati dall’atteggiamento dell’ironia abbiamo
legato il Corso di danza del ventre alla lavanderia Luogo
d’incontro, alla Fermata soppressa col volto di Rutelli,
alla Kansas City di Grosseto. Il vecchio e il bambino di Casilino-Roma
e i Fratelli rinviano al sentimento della tenerezza. Il tema
della speranza l’abbiamo rinvenuto in due immagini del
2001: Il nostro mondo non è in vendita e Marcia della
pace Perugia-Assisi.
Giuliano Bianchi
Docente pianificazione economica urbana e territoriale
Universita' di Siena
Docente ISIA Firenze
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