Sotto assedio
Foto di Riccardo Spinella
“A raccontarlo, 1+1
non fa solo 2”: questa la frase di Marco Paolini che
avevo letto un paio di giorni prima su un giornale. Ed è
quello che ho pensato sabato sera dalla chiesa sconsacrata
di Sant’Orsola a Viterbo, dove la Compagnia “Volgiti
che fai” aveva appena portato in scena Sotto assedio,
spettacolo dedicato a fatti di sangue realmente avvenuti nella
Viterbo degli anni ’20, prima dell’avvento definitivo
del fascismo. Artefici dell’iniziativa, oltre ai 9 attori,
Antonello Ricci come regista e Silvio Antonini nei panni di
ricercatore storico, nonché autore del MilleLire per
Stampa Alternativa, pubblicato per l’occasione, che
prende il nome dallo spettacolo.
La Chiesa gremita oltre ogni
più rosea previsione, il silenzio quasi liturgico durante
la rappresentazione, i convinti applausi finali, i molti lucciconi
visti sui visi dei presenti, provano che Antonello e i suoi
hanno fatto centro, e che questo 1+1, a raccontarlo, è
diventato un multiplo di 2, che va coltivato sotto diversi
aspetti.
Perché le storie viterbesi
di quegli anni sono storie di ogni tempo, anche se oggi il
Potere si presenta sotto forme meno violente, almeno all’apparenza,
come ci ricordava lo scrittore Alberto Prunetti nella breve
conferenza che ha preceduto lo spettacolo; perché è
compito dell’uomo coltivare dentro di sé la memoria
storica, alla base di tutte le arti e comunque maestra di
vita, come sosteneva lo storico Alfio Cortonesi nella conferenza;
perché è compito di ognuno di noi combattere
per la non violenza, sconfiggendo il fascista che è
in noi,come ammoniva un commosso e stremato Antonello Ricci
prima dello spettacolo, quasi invitandoci a coltivare il fanciullino
che è ancora dentro di noi, evitando ogni degenerazione,
da qualsiasi punto di vista politico la si guardi.
Foto di Stefano Pacini
Poi si è dato il via
alle storie, proposte in maniera interessante, ora come monologhi,
ora in quadri corali, dentro alla strana cornice della chiesa
sconsacrata di Sant’Orsola, che faceva da suggestivo
sfondo alla rappresentazione.
Di innocenti messi in prigione
per assassini mai avvenuti, di Arditi del Popolo uccisi a
tradimento da ex anarchici poi divenuti fascisti, di donne
che fanno collette per raccogliere fondi per le spese processuali
rifiutando ogni tipo di transazione, di bambini morti sotto
gli occhi delle loro madri, di una popolazione che impedì
sul nascere, almeno a Viterbo, l’avvento del fascismo,
unendosi e combattendo con coraggio quella banda di delinquenti
(ed è stato bello sentire alcune canzoni dell’epoca,
una delle quali si intitolava proprio Delinquenza, cantate
a viva voce dagli attori) vestiti di nero che imperversava
nelle città a bordo dei loro camion, armati di manganelli
e olio di ricino.
Storie di uomini e donne
coraggiose, senza dubbio. Ma forse, molto più semplicemente,
storie di uomini e donne, che quotidianamente si ripetono
in ogni parte del mondo, senza che l’opinione pubblica
ne parli nemmeno più perché, come diceva in
maniera mirabile Flaiano, “le dittature degli altri
non ci danno fastidio”.
Così la violenza,
tratto della nostra società, molto più di quanto
si possa credere. E se pensiamo che, quasi in contemporanea
allo spettacolo, nella “civile” Roma un uomo è
stato scientemente ucciso in seguito ad una lite per un parcheggio,
paiono profetiche le parole di Antonello, forse per alcuni
troppo gandhiane, ma che vanno diritte alla coscienza di ognuno,
di cercare di sconfiggere il fascista che è in noi.
Questo il messaggio della
serata, al di là della prova offerta da tutti, e degli
applausi convinti del pubblico per lo spettacolo di questa
compagnia di dilettanti, che è andata certo ben oltre
la bravura dei singoli nel portare in scena questa rappresentazione;
da questo ripartire, perché 1+1 non faccia solo 2 nei
racconti, ma anche nella vita di tutti i giorni.
Il che, come tutti sappiamo,
è assai più difficile, ma non ci deve esimere
dal cercare di provarci.
di Alessandro Tozzi
Foto di Stefano Pacini
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