Viterbo
Sabato 3 (ore 21.00) e domenica 4 (ore 18.30) dicembre
Ex Chiesa di Sant'Orsola, via San Pietro 2


Stampalternativa, Associazioni culturali “Achille Poleggi”, “Frisigello” e Arci Nuova Associazione presentano:

Gruppo teatrale “Volgiti, che fai”

Sottoassedio

di Antonello Ricci

Torna Sottoassedio di Antonello Ricci, allestimento a cura del gruppo teatrale "Volgiti, che fai"- interventi pittorici del maestro Ireneo Melaragni.
La messinscena sarà preceduta da una lettura scelta di scene inedite (per l'occasione l'autore farà coppia con Massimiliano Bagaglini)



LE STORIE DI SOTTOASSEDIO: UNA CROCE SULLA CASSIA

Viterbo. Ai bordi della Cassia, in mezzo all'erba, presso le rovine del palazzo di Federico II, sopravvive una vecchia croce di peperino. Data 12 luglio 1921. Dall'altra parte della strada, un cippo miliare segna il km 75. Fu a quest’altezza della via di Circonvallazione che la contessa Lucille Beckett (di passaggio per Viterbo coi tre giovani figli) seppe domare l’incontenibile terrore: trovò la forza di frenare, scendere, mettersi a gridare. Solo allora il crepitìo di fucileria che aveva investito la sua Alfa torpedo - contemporaneamente dall’alto delle mura medievali e dal culmine del terrapieno ferroviario - si placò. Per farle scoprire che suo figlio Geremia, quindici anni, era morto. Erano quasi le cinque del pomeriggio. Che cosa era successo? Quella stessa mattina in città, per i solenni funerali del contadino Tommaso Pesci, trucidato due giorni prima dai fascisti sulla pubblica piazza, la giunta comunale aveva dichiarato lo stato d’emergenza. Porte urbiche sbarrate con cavalli di frisia e presidiate dai fanti del Sessantesimo Reggimento. Campane pronte a suonare a martello in segno di allarme. Il popolo, di vedetta sui torrioni e lungo i camminamenti, scrutava il paesaggio circostante. Asserragliandosi, Viterbo aveva inteso custodire il lutto per quel suo figlio innocente. E le squadre fasciste, tornate dalla vicina Umbria e da Roma, s’erano viste costrette al bivacco nelle campagne circostanti. In quella parossistica atmosfera di tensione, la contessa Beckett giungeva a porta Fiorentina. L'ufficiale di guardia s'irrigidì, negandole il passo per motivi d’ordine pubblico. Lucille decideva allora d’imboccare la Circonvallazione. Non ebbe forse coscienza piena del pericolo, forse non fu avvisata a sufficienza. Fatto sta: la macchina che avanzava nella sudata polvere di quell’ora dovette destare apprensione e sospetto, o scatenare il gusto della provocazione. Due anni dopo, nonostante la dinamica del fatto e la provenienza dei colpi mortali fossero state tutt’altro che chiarite, e nonostante la coraggiosa, strenua difesa degli avvocati, la Corte d’Assise Straordinaria di Roma condannava ad anni cinque e mesi dieci di reclusione, per concorso in omicidio, un calzolaio di trentotto anni; con lui un carpentiere, un bracciante, un maniscalco. Da Arditi del Popolo a galeotti. Tangibile, tristissimo segno delle troppe cose mutate, intanto, in quella fragile Italietta ormai ex-liberale. In séguito l’agiografia di regime avrebbe colorito e tramandato, deformandolo, l’episodio: «Nel Luglio la situazione si era aggravata. Su tutte le torri sventolavano le bandiere rosse, e alle porte vegliavano in armi gli arditi del popolo… [I fascisti] si accampano nella campagna e attendono di dare l’assalto alla città. I sovversivi si preparano a resistere con le armi del Medio Evo: olio bollente e pietre». Storie d’una estate insanguinata. Storie d’Italia. Una prece per non dimenticare.