Da "Il Tirreno", 16 aprile 2004


POESIE D’AMORE, DI VINO E DI CAVALLI
I versi della terra di Maremma nel libro di Lio Banchi, contadino con la penna

di David Fiesoli

MASSA MARITTIMA. La terra e la poesia. I cavalli. Il vino. Semplice e schietto come la terra di Maremma, è il canto improvvisato in ottava rima che fa di un contadino un poeta. Di quelli che si ascoltano davanti al fuoco di un camino, a cena in osteria, o nelle maggiolate di festa. Così era Lio Banchi, il poeta contadino della Maremma, che non ha fatto in tempo a vedere il libro che raccoglie i suoi versi, edito da Stampa Alternativa per il Fondo Boccardi, intitolato “La smania di cantare “ (pp. 160, euro 10). La smania di scrivere versi, dopo una giornata passata a lavorare la terra.. Non ha fatto in tempo, Lio Banchi, perché la morte se l’è portato via lo scorso agosto, lui classe 1929 nato e vissuto a Pianizzoli, provincia di Grosseto, tra Ribolla e Massa Marittima.
Ci teneva a vedere i suoi versi in un libro prima o poi, e il Fondo Boccardi, attento alla scoperta e alla valorizzazione dei talenti maremmani, ha voluto esaudirlo. Perché un poeta contadino ci tiene, alla tradizione dei canti in ottava rima, a cantar maggio, e Lio Banchi, per trasmetterla ai giovani, si era inventato la scuola di poesia di Pianizzoli, nel suo podere che oggi è un agriturismo. Raduni di poeti improvvisatori e appassionati, dalle città e dalle province di Pistoia, Arezzo, Prato, oltre che dalla Maremma, e pian piano il giro si allarga, con gli anni: dopo Chiaro Mori che aveva vissuto nel bosco per evitare il servizio militare, arrivano il Landi, il Bruni, Il Grassi, lo Stacciali e tanti altri. E negli anni si rincorre la voce: c’è una scuola di poesia a Pianizzoli, e arrivano giornalisti e professori, man mano che diventa anche di moda ritrovare le antiche usanze delle terre più appartate.
Ma quella di Pianizzoli non era una scuola: piuttosto, un magistero popolare per tramandare valori e tradizioni. O come scrive Lio Banchi, è “ricreazione per rianimare un poco i cuori” dopo il lavoro; è per i giovani, perché prendano esempio di “quanto è grande e quanto può valere l’amicizia”. Ma soprattutto è nata per avvicinarli all’arte della poesia a braccio, per trasmetter le radici di una terra e un’arte: « Non credo – scrive il poeta contadino – che dentro il cuore e l’animo dei giovani ci sia più posto per la poesia ». E a loro si rivolge: «Non lasciate questo campo incolto. Raccoglierete amore, rispetto, dignità, pace e fratellanza »Poesia d’amore, dunque, quelle di Lio Banchi, poesia per i suoi amici, la sua terra, la famiglia, i suoi amati cavalli. Poeta d’occasione: dediche e omaggi, anche su richiesta. Versi in cui non mancano l’attualità politica, la satira di costume, le invettive moralistiche contro guerra, inquinamento, droghe, le piaghe della modernità. Ma anche versi tristi sulla durezza del lavoro. Poesie scritte magari quando era difficile tenere la penna in mano dopo aver lavorato la terra tutto il giorno, come sottolineano i curatori del libro nella prefazione, Michele Cocola e Dario Radi del Fondo Boccardi, che hanno raccolto, letto e toccato le pagine ingiallite in cui Lio Banchi, né computer né macchina da scrivere, buttava giù a penna i suoi versi. E hanno aperto i cassetti, trovando tutta la memoria di una terra che non va dimenticata.