Il
mio nome Dimenticato - Vita di Gerolamo Lazzeri, di Annalisa
Ferrari, Edizioni Giuseppe Chiappini
Questo è un libro,
una storia, che parte da lontano.
Da una lettera ritrovata
nell’archivio di Lodi, in cui un signore sconosciuto
si rivolgeva al Podestà di Lodi nel 1928, quindi in
pieno periodo fascista, confermando che non avrebbe provveduto
ad iscrivere la figlia alle Giovani Italiane, come invece
richiesto dal Convitto.
Da questa lettera poi è
partito tutto, con l’autrice –Annalisa Ferrari,
al suo esordio letterario- che ha cercato con tenacia, ripercorrendo
a ritroso le tracce di Gerolamo Lazzeri, di ricostruire la
vita di quest’uomo, scoprendo pian piano particolari
sempre nuovi, che glielo rendevano via via più affascinante.
Alla fine di questo tragitto
ne è nato un volume, dalla genesi travagliata appena
meno della vita del Lazzeri, che mescola documenti, brani
dei suoi libri, testimonianze del figlio 82enne Dante, e che
qualche volta, come l’autrice sottolinea nella prefazione,
va anche oltre, pur sempre avendo ben chiara la realtà
di questo intellettuale.
Sì, perché
Gerolamo Lazzeri, nato nel 1894 a Bola di Tresana, in provincia
di Massa Carrara, e trasferitosi nel 1913 a Milano, fu una
strana figura di intellettuale “puro”: attivissimo
politicamente e in contatto con le maggiori figure di intellettuali
dell’epoca, giornalista, saggista, traduttore, editore.
Ma, nonostante tutto questo,
del tutto dimenticato, o quasi.
Non solo, e non tanto, come
lucidamente sottolinea Mino Milani nella bella prefazione
del libro, perchè la cosa che all’italiano riesce
storicamente meglio è dimenticare, quanto per la sua
posizione di uomo “solo”, sempre e comunque, nell’Italia
di quegli anni. Una solitudine, forse in parte cercata, ma
che nasceva da una coerenza assoluta verso le proprie idee,
da vivere giorno per giorno senza compromessi, anche se questo
ha significato per lui, la adorata moglie Hanny ed i 4 figli,
privazioni ed umiliazioni di vario genere.
Difficile ipotizzare al giorno
d’oggi, in un’Italia che vive solo di mezze figure
e trasformismi, una figura del genere, che si è sempre
schierata criticamente, senza sposare mai delle idee e delle
regole solo perché venivano poste dall’alto.
Ancora più difficile ipotizzare una figura del genere,
poi, in un’Italia che ha più a cuore le sorti
dei propri cari che quelle della società in generale,
e finisce sempre per venire a patti in nome del quieto vivere
familiare e della pagnotta da portare a casa (diceva Longanesi
che la bandiera italiana dovrebbe contenere al centro una
frase: “tengo famiglia”).
Questo, ma non solo, è
Gerolamo Lazzeri, morto poi nel 1941, a soli 47 anni, e anche
per tale motivo forse dimenticato, visto che aveva certo tante
altre cose da scrivere, con quel tono lucido, asciutto e critico
che lo distingueva.
Che da questa storia ne sia
uscito un prezioso volume, ci fa essere un po’ più
ottimisti, ci aiuta a credere che vi sia spazio da qualche
parte anche per gli autori dimenticati, per coloro i quali
hanno sempre scelto la libertà nella loro vita, anche
a costo di perdere buona parte di ciò che avevano,
anche a costo di non riuscire a realizzare del tutto il loro
straordinario talento.
E la storia, oltre alla pubblicazione
del libro da parte della casa editrice Chiappini, ha avuto
il suo epilogo il 26 Novembre a Tresana, paese natale di Gerolamo,
dove la mattina la piazza di Bola è stata dedicata
a Gerolamo Lazzeri, indicato semplicemente come “intellettuale
antifascista”. Il pomeriggio, poi, vi è stata
la presentazione del volume, con la presenza di un numeroso
pubblico, curioso di riscoprire un illustre compaesano del
tutto dimenticato.
Mi ha fatto piacere essere
lì a Tresana, non solo per la conoscenza che ho dell’autrice,
e per la grande considerazione del lavoro svolto, che in alcuni
momenti ha raggiunto vette quasi “maniacali”,
ma per aver toccato con mano che in Italia vi possano essere
ancora delle belle storie col finale positivo, di quelle alla
Frank Capra, con te che freni i lucciconi mentre viene inaugurata
la piazza sotto il diluvio battente, e speri che le lacrime
vengano scambiate per pioggia.
Questa è l’Italia
che ci piacerebbe raccontare, non quella che vediamo tutti
i giorni nei telegiornali, un’Italia con più
uomini e meno “ominicchi”, con gente che si prenda
la responsabilità delle sue idee, con gente che abbia
delle idee da portare avanti. E con famiglie che sostengano
questi uomini, senza farli passare per matti, anche quando
tutto lascerebbe credere che le scelte da fare sarebbero ben
altre: scelte di comodo, di conformismo, di trasformismo.
Scelte di potere, non certo di libertà.
Ed è stato un bell’epilogo
della presentazione una signora sorridente che, a microfoni
spenti, inseguendo un suo pensiero, è andata a chiedere
all’autrice se era vero che anche in questo caso le
poteva confermare che dietro un grande uomo vi era una grande
donna; se, cioè, la moglie di Gerolamo, Hanny, di cui
nel libro c’è anche una bella foto, fosse una
grande donna.
E la risposta, senza alcun
dubbio, è stata sì.
Questo libro è dedicato
anche a lei.
Alessandro Tozzi |